L’evoluzione del diritto alla terra alla luce della Dichiarazione sui diritti dei contadini e delle altre persone che lavorano nelle aree rurali adottata dall’Assemblea Generale dell’ONU nel 2018

Approfondimento n. 3/2021                                                                                                                                                          

L’impulso ad introdurre uno strumento normativo che tuteli i diritti dei contadini nasce da un’attenta analisi delle condizioni di vita della popolazione mondiale, in relazione all’accesso alle risorse alimentari. Nello specifico, si è osservato che il problema della fame e della malnutrizione è diffuso soprattutto nelle comunità insediate nelle aree rurali, più indicativamente, dei paesi in via di sviluppo, nonostante il settore economico maggiormente sviluppato in queste aree riguardi proprio lo sfruttamento della terra. Da qui la necessità di prevedere standards minimi di benessere per contrastare la povertà, nonché gli opportuni strumenti per rendere effettiva questa prospettiva di protezione e promozione di un’agricoltura di sussistenza più sostenibile. 

Il mercato alimentare si è senz’altro evoluto e l’impatto che l’industrializzazione ha avuto rispetto agli operatori “rurali” è stata oltremodo dannoso. I contadini si trovano ad affrontare la forte pressione esercitata dall’“industrializzazione” dell’agricoltura che ha sostituito il lavoro manuale. Si aggiunge, inoltre, l’avanzare di forti interessi economici provenienti da investitori privati e, talvolta, attori statali, che occupano le terre, perché fertili o per fini urbanistici, trasformandole in un prezioso strumento finanziario. Si registrano interventi di occupazione arbitraria ed assolutamente non consensuale sempre più incisivi, che minano la dignità umana dei lavoratori espropriati oltre che la loro produttività come operatori economici. Oltre ai problemi anzidetti, sono da tenere in considerazione anche i cambiamenti climatici che costringono le comunità rurali a modificare le proprie tecniche agricole e la scelta dei prodotti su cui fondare la propria economia, spingendole, nel peggiore dei casi, ad allontanarsi dalla propria terra per migrare verso aree che offrano maggiori possibilità occupazionali o addirittura esistenziali.

Già all’inizio degli anni ’90, La Via Campesina aveva redatto un progetto al fine di tutelare i diritti dei contadini. Nel 2009 fu quindi adottata una dichiarazione, contestualmente presentata all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Da allora, la stessa organizzazione ha condotto una serie di campagne mirate alla elaborazione di uno strumento giuridico internazionale che definisse espressamente la portata del diritto al godimento della terra e di tutte le risorse ad essa pertinenti.

La lunga fase delle trattative che ha preceduto la dichiarazione trova giustificazione nella resistenza manifestata da molti Stati dinanzi alla creazione di nuovi diritti. I Paesi maggiormente industrializzati sostenevano che fosse prioritario provvedere all’implementazione di diritti già esistenti piuttosto che introdurre uno strumento giuridico rivolto ad un segmento minoritario della popolazione. Inoltre, gli esiti applicativi che il documento avrebbe prodotto rispetto agli interessi delle multinazionali e degli altri operatori economici forti, spinsero alcuni Stati europei, tra cui l’Italia, ad astenersi dalla votazione. Si trattava per lo più di ragioni strettamente politiche ed economiche che andavano inevitabilmente a collidere con la piena realizzazione degli scopi della Dichiarazione. 

Ad ogni modo, il 17 dicembre 2018, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato la Dichiarazione sui diritti dei contadini e delle altre persone che lavorano nelle aree rurali, con un’ampia maggioranza di 121 voti a favore (vi furono 8 Paesi contrari e 54 astenuti). Dal punto di vista giuridico, si tratta di uno strumento di soft-law, ovvero di una dichiarazione di principi avente valore meramente raccomandatorio. Gli articoli, tuttavia, sono formulati in modo da richiamare una vera e propria condizione di titolarità di diritti in capo ai soggetti destinatari (“Peasants and other people working in rural areas have the right…”).

Venendo al contenuto della Dichiarazione, essa è composta da 28 articoli. In apertura si definisce il concetto di “peasants” (art.1), chiarendo la portata applicativa dei principi ivi elencati, estesi alla categoria dei contadini, ma anche degli operai, dei pescatori, delle comunità rurali e delle popolazioni indigene. 

Successivamente vengono definiti gli obblighi degli Stati (art. 2) ed i principi di non discriminazione (artt. 3-4). La Dichiarazione richiama, in ogni disposizione recante un diritto, l’obbligo per gli Stati di adottare misure idonee a facilitare o realizzare gli obiettivi elencati. Gli Stati Membri devono intervenire a livello legislativo e amministrativo allo scopo di realizzare pienamente gli obiettivi della Dichiarazione promuovendo il dialogo e la collaborazione con i gruppi interessati, rafforzandone la partecipazione attiva, libera ed informata. Particolare attenzione è dedicata all’implementazione dei diritti rispetto agli ulteriori bisogni speciali dei contadini in condizioni di maggiore vulnerabilità, tra cui si annoverano le persone in età avanzata, le donne, i giovani, i bambini e le persone con disabilità, tenendo conto della necessità di far fronte agli eventuali rischi di discriminazione. È fatto, inoltre, divieto di interpretare il testo in maniera tale da diminuire o annullare la portata dei diritti ivi enunciati, se non mediante interventi legislativi conformi ai suoi scopi ed alle norme di diritto internazionale (art. 28 – general provisions). 

La catalogazione vera e propria dei diritti (artt. 5-26) ruota attorno ad un nucleo essenziale, che risiede nel diritto alla terra (art. 17), alla sua conservazione e utilizzo, allo scambio e commercio dei frutti che ne derivano, nonché alle sementi (art. 19) ed al mantenimento della biodiversità (art. 20). 

Si evidenzia, inoltre, l’intento di combattere il fenomeno del land grabbing, che minaccia la sicurezza alimentare (food security), ovvero la capacità di garantire uno standard quantitativo adeguato e sufficiente a soddisfare la domanda alimentare della popolazione stanziata in una certa area. Come strumento di contrasto si parla, all’art. 15, della cd. foodsovereignty (principio ampiamente trattato nell’ambito della Dichiarazione di Nyéléni del 2007), intesa come il diritto dei popoli di determinare i loro sistemi agricoli e alimentari e di coltivare cibo sano, il cui consumo sia conforme alla cultura locale. Questo stesso obiettivo porterebbe a garantire un adeguato livello di alimentazione e delle condizioni di vita, dando priorità all’economia agricola locale e familiare, alla pesca e all’allevamento tradizionali, valorizzandoli per contrastare l’agrobusiness. D’altro canto, a preoccupare è anche l’attacco diretto alla cosiddetta food safety, legata alla qualità delle risorse alimentari ricavate dalle terre, che può essere garantita soltanto mantenendo un’appropriata salubrità ambientale, sempre più compromessa dall’impiego di tecnologie industriali inquinanti (art.18).

In conclusione, emergono dei profili critici che coinvolgono direttamente l’Italia e la gran parte degli Stati europei, che continuano ad anteporre interessi imprenditoriali alla piena realizzazione dei diritti delle categorie protette dalla Dichiarazione. Affinché i principi di tutela vengano attuati, infatti, è necessario che gli Stati attribuiscano un riconoscimento giuridico all’agricoltura contadina. Questo traguardo, non è stato un effetto automatico della Dichiarazione, poiché in molti Stati non si è ancora provveduto, in maniera definitiva e adeguata, a distinguere le imprese agricole di grandi dimensioni dalle piccole produzioni contadine. Queste ultime, infatti, affrontano necessità e modalità diverse di vivere l’agricoltura, sulla base di standards sostenibili che mirano alla preservazione dell’ambiente ed a privilegiare la filiera corta e locale, nonché il rapporto diretto con il consumatore. Le istituzioni politiche nazionali sono tenute a conformarsi agli obiettivi di giustizia sociale raccomandati (artt. 10-16), per assicurare un trattamento retributivo adeguato ed un effettivo accesso alle informazioni ed a nuove opportunità di sviluppo ed espansione delle attività rurali. Solo attuando queste misure sarà possibile una nuova politica agricola che garantisca alle organizzazioni sindacali ed esponenziali degli interessi dei contadini un effettivo accesso ai processi decisionali in materia.

Laura Gobbi

Studentessa del Master in “Tutela internazionale dei diritti umani Maria Rita Saulle” 

Link e contributi utili

CLAEYS P., From Food Sovereignty to Peasants’Rights: an Overview of La Via Campesina’s Rights-Based Claims over the Last 20 Years, Food Sovereignty: A Critical Dialogue, Yale University, 14- 15/09/2013. Consultabile su hdl.handle.net/2078.1/137348.

LA VIA CAMPESINA, Peasants Rights Explained: An illustrated version of the UN Declaration. Consultabile su viacampesina.org/en/undrop-illustrations/.

LIBERTI S., Land grabbing. Come il mercato delle terre crea il nuovo colonialismo, Minimum fax, Roma, 2015, pp. 7-10.

PAOLONI L., VEZZANI S., La Dichiarazione ONU sui diritti dei contadini e delle altre persone che lavorano nelle aree rurali: prime riflessioni, su federalismi.it, n.1/2019. Consultabile su https://www.federalismi.it/nv14/articolo-documento.cfm?Artid=38534

RAPPORTO DEL FORUM PANEUROPEO DI NYÉLÉNI per la sovranità alimentare, Cluj Napoca, Romania, 25-30/10/2016. Consultabile su croceviaterra.it/sovranita-alimentare/1455/.

SELLARI P., Land Grabbing, Gnosis 1/2015, pp. 155-161.

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VAN DER PLOEG J.D., I nuovi contadini. Le campagne e le risposte della globalizzazione, Donzelli, Roma, 2009, cap.II; cap.V.