Il Decreto n.1287 del 12 aprile 2020 e l’istituzione delle navi quarantena: rispetto della salute pubblica o esercizio di sovranità?
Approfondimento n. 4/2021
Il 12 aprile 2020, nel contesto della pandemia da COVID-19, viene emesso dal Capo Dipartimento della protezione civile il Decreto n.1287. Esso stabilisce, considerata “la necessità di assicurare il rispetto delle misure sanitarie adottate per contrastare la diffusione epidemiologica da COVID-19 con riferimento ai casi di soccorso in mare”, l’istituzione di procedure di quarantena per le persone che giungono in Italia via mare attraverso canali non legali di ingresso.
Il suddetto Decreto, nell’individuare dei soggetti attuatori per la realizzazione delle misure previste, dispone “l’utilizzo di navi per lo svolgimento di periodo di sorveglianza sanitaria”. Queste regole sono valide per coloro i quali non sia stato possibile individuare un place of safety; lo stesso Decreto specifica come esse valgano anche, in via residuale, per le persone giunte tramite sbarchi autonomi laddove non vi sia disponibilità di strutture idonee sul territorio ove dare attuazione alle misure necessarie.
Con procedura di aggiudicazione diretta sono state dunque individuate delle navi in cui i naufraghi soccorsi in mare vengono sottoposti al periodo di quarantena, il quale secondo quanto raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e stabilito dalla Circolare del Ministero della Salute del 12 ottobre 2020 è della durata di dieci giorni.
La ricerca “Diritti in rotta. L’esperimento delle navi quarantena e i principali profili di criticità” pubblicata ad aprile 2021, condotta dalla Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI) in collaborazione con la Clinica legale per i diritti umani dell’Università di Palermo, mette in evidenza alcune questioni giuridicamente rilevanti alla luce del diritto internazionale rispetto ai diversi regimi interessati dal dispositivo delle navi quarantena. Esso è infatti al centro di distinti regimi giuridici che è bene inquadrare, da una prospettiva multilivello, per potere entrare nel merito della questione.
In primis, si prende in considerazione il diritto sanitario internazionale, il quale per mezzo dei Regolamenti sanitari internazionali adottati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, disciplina le norme volte a contenere e prevenire il diffondersi di malattie. Facendo in particolare riferimento al Regolamento Sanitario Internazionale (RSI) del 2005, l’art. 43 stabilisce la possibilità che gli Stati membri possano implementare le misure stabilite dall’OMS per far fronte a rischi specifici per la salute pubblica. Lo stesso Regolamento stabilisce ai sensi degli artt. 3 e 32 che le norme previste debbano essere adottate nel pieno rispetto della dignità, dei diritti e delle libertà fondamentali dell’uomo riducendo qualsiasi disagio per i viaggiatori. Aspetto da mettere in luce del diritto sanitario, branca del diritto internazionale, è che esso sia un settore poco sviluppato in favore della competenza statale in quanto la sanità pubblica da sempre viene concepita come una questione domestica. Le norme adottate in campo sanitario rimangono dunque prevalentemente nell’ambito della sovranità statale (cfr. I.R. PAVONE, La pandemia globale di CoViD-19: riflessioni sul ruolo dell’OMS, in BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, Special Issue 1/2020). Ciò anche alla luce dell’art. 3, par. 4, del RSI del 2005: “States have, in accordance with the Charter of the United Nations and the principles of international law, the sovereign right to legislate and to implement legislation in pursuance of their health policies. In doing so they should uphold the purpose of these Regulations”.
Ulteriore regime giuridico chiamato in causa dalla questione delle navi quarantena è il diritto internazionale del mare. In particolare, la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS), anche conosciuta come Convenzione di Montego Bay poiché ivi aperta alla firma il 10 dicembre 1982, all’art.33 stabilisce che lo Stato costiero può nella zona contigua prevenire le violazioni delle leggi o regolamenti doganali, fiscali, sanitari e di immigrazione entro il suo territorio o mare territoriale. Essa si intende oltre il mare territoriale, dalle 12 alle 24 miglia dunque oltre la rada, ove le persone migranti vengono tenute a bordo delle navi. Inoltre, la stessa Convenzione all’art. 98 disciplina l’obbligo di prestare soccorso a chiunque si trovi in pericolo in mare. La UNCLOS, insieme alle altre principali convenzioni in materia di diritto del mare, cioè la Convenzione internazionale sulla ricerca e salvataggio marittimo del 1979 e la Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare del 1974 e i relativi emendamenti entrati in vigore nel 2004, istituisce un regime di salvataggio in mare che impone agli stati precisi obblighi giuridici che cessano con lo sbarco dei naufraghi in un luogo sicuro.
Ancora, poiché le persone tratte in salvo sono potenziali richiedenti asilo è da applicarsi il diritto internazionale dei rifugiati disciplinato dalla Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati del 1951 e dal Protocollo del 1967, insieme alle Linee guida dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR).
Last but not least, ulteriore regime giuridico che insiste è il diritto internazionale dei diritti umani regolato da un complesso sistema di fonti: a livello universale prima tra tutte la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948; al livello regionale, si veda, ad esempio, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali del 1950. L’intero regime si fonda sui principi di dignità umana e di uguaglianza che affermati dagli artt. 1 e 2 della Dichiarazione universale si pongono come i presupposti per il godimento di tutti i diritti umani. Si ricorda poi che, a livello nazionale, la Costituzione della Repubblica italiana all’art. 2 riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo e si tratta di uno dei principi essenziali del nostro ordinamento.
A partire da un così composto quadro giuridico, emergono diversi spunti di riflessione riguardo il Decreto n.1287 e le procedure di quarantena da esso istituite.
Come evidenziato, le decisioni in campo sanitario vengono adottate prevalentemente in ambito interno, quale riflesso della sovranità statale. Ciò implica un rischio effettivo che tali misure prese in un contesto emergenziale quale quello pandemico, come accaduto in maniera diffusa, siano un pretesto per l’affermazione del potere e controllo statale in barba allo stato di diritto. Questo rischio, per il quale si sono espressi anche gli esperti delle Nazioni Unite in materia di diritti umani, richiedendo che le misure adottate per far fronte all’emergenza siano proporzionate, necessarie e non discriminatorie, appare fondato se si osserva che dal punto di vista medico non vi sia alcuna prova riguardo l’utilità di far trascorrere coattivamente la quarantena a bordo delle navi. Ciò è stato sostenuto da Medici senza frontiere e trova riscontro nello studio “COVID-19 outbreak on the Diamond Princess cruise ship: estimating the epidemic potential and effectiveness of public health countermeasures” di Joacim Roclöv, docente di epidemiologia dell’Università Umeå in Svezia, pubblicato sul Journal of Travel medicine nel febbraio 2020. Tale studio ha dimostrato come il confinamento delle persone a bordo di una nave non sia una misura efficace per limitare il contagio e che non vi sono ragioni per sostenere che le navi siano un luogo idoneo per la quarantena o per fornire assistenza sanitaria adeguata.
Ancora, la permanenza delle persone migranti soccorse nelle operazioni di Search and Rescue (SAR) trattenute a bordo delle navi quarantena mette in discussione la normativa riguardo lo svolgimento delle operazioni SAR, le quali possono dirsi concluse quando i migranti raggiungono un place of safety. La disciplina in merito non è formalmente chiara, ma come ribadito dalla Corte di Cassazione nella sentenza Rackete del 20 febbraio 2020, ciò avviene con il trasbordo a terra dei naufraghi.
Come si evince dal report di ASGI, ulteriore aspetto problematico riguarda le procedure di richiesta di asilo: come afferma l’avvocato Vassallo Paleologo, in un’intervista per la testata online Voci Globali, qualora la quarantena a bordo duri 14 giorni non si riscontra di per sé un’immediata violazione del diritto di asilo. Emergono tuttavia ulteriori rischi, come nell’ipotesi in cui le questure adottino provvedimenti di respingimento differito con l’ordine di allontanarsi dal territorio o decreti di trattenimento in un Centro per i rimpatri (CPR), oppure il fatto che durante la permanenza a bordo non vengano fornite sufficienti e tempestive informazioni circa lo status giuridico e il funzionamento del sistema di protezione internazionale, non vi è inoltre la mediazione di un interprete violando così il diritto all’informazione che garantisce l’accesso effettivo alla procedura d’asilo come la guida dell’European Asylum Support Office (EASO) stabilisce.
Alla luce del diritto internazionale dei diritti umani, le misure sanitarie adottate si configurano come contrarie all’art. 7 della Dichiarazione universale che riguarda il principio di non discriminazione in associazione con il diritto di libertà e con il diritto alla salute oltre che il rispetto del principio di dignità della persona umana.
Per quanto emerge dall’indagine che ha dato luogo al rapporto ASGI, si evince infatti che tale dispositivo generi un comportamento discriminatorio poiché prevede modalità differenti per una determinata categoria di persone –quelle straniere -, modalità che non rispondono ai requisiti di necessarietà e proporzionalità delineando così una differenza di trattamento non giustificata.
Risulta, infatti, come emerge dallo stesso Report che la durata della permanenza a bordo sia difforme e maggiore rispetto a quella prevista dai protocolli sanitari, costituendo così un trattamento ad hoc che non trova riscontro dal punto di vista medico. Emerge inoltre da altre inchieste (si veda, ad esempio, quanto pubblicato il 9 ottobre 2020 su Open migration) che tale pratica sia stata adottata anche per le persone migranti già presenti sul territorio italiano trattenute nei Centri di accoglienza straordinaria (CAS), nonostante il Decreto n.1287 si rivolga espressamente, come già messo in evidenza, alle persone soccorse in mare o in via residuale alle persone sbarcate con mezzi autonomi.
Tali misure danno luogo, inoltre, a violazioni della libertà sulla base di un comportamento discriminatorio poiché, come sottolineato dal Report, contrariamente a quanto avviene per le persone sul territorio italiano, la quarantena a bordo delle navi viene imposta in maniera coercitiva vista la costante presenza di agenti di sicurezza e vista l’impossibilità ad allontanarsi dalla nave non trovandosi attraccati ai porti.
Viene violato inoltre il diritto di accesso alle cure e al godimento del più elevato stato di salute, il quale è uno dei diritti fondamentali di ogni essere umano come affermato dalla Costituzione dell’OMS. Il diritto alla salute è sancito dal Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali (art.12), così come dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (art. 8), dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (art. 35), dalla Carta sociale europea (art. 11) e dalla Costituzione italiana (art. 32). È stata infatti riscontrata a bordo una mancanza di accesso alle cure, tra cui la possibilità di incontrare uno psicologo o ricevere cure specifiche per donne in stato di gravidanza o per persone vulnerabili quali i minori. La permanenza forzata a bordo delle navi in tali condizioni aggrava la situazione psicofisica di persone già provate dal viaggio pericoloso che hanno affrontato e che il più delle volte approdano in Italia in stato di disidratazione o con i segni delle violenze e abusi subiti. Triste epilogo è il caso di Abou, giovane ivoriano morto in ospedale dopo aver trascorso diversi giorni sulla nave quarantena “Azzurra” dove non ha potuto ricevere un’assistenza medica adeguata.
Per di più, si configura una compromissione del principio di dignità, sia sotto il profilo del violato diritto alla salute, considerato che la salute è un nucleo inviolabile della dignità della persona, sia anche per ciò che concerne il trattenimento fisico degli stranieri a bordo delle navi. Sulla base della giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 105 del 200)1, infatti, si evince che l’assoggettamento ad un potere altrui nel caso della permanenza degli stranieri nei centri di detenzione, anche qualora sia motivata dal fornire loro assistenza, costituisce mortificazione della dignità dell’uomo.
A partire da una simile prospettiva, il sistema delle navi quarantena si configura come un dispositivo volto a proteggere le frontiere statali piuttosto che una procedura di tutela della salute pubblica, prassi che si inserisce in una più ampia e diffusa pratica di esternalizzazione dei confini. Tale sistema mette in luce un bilanciamento tra interessi contrapposti che da sempre creano tensioni nel sistema internazionale: la tutela dei diritti umani e l’esercizio della sovranità statale.
Il caso delle navi quarantena risulta inoltre allarmante per la mancanza di informazioni ufficiali circa le condizioni, la provenienza e i numeri delle persone sottoposte a tale misura. Oltre a ciò, non si conoscono le procedure seguite per le persone vulnerabili. Dando eco alle parole degli esperti delle Nazioni Unite, bisogna che ciascuna delle misure adottate per la tutela della salute pubblica in risposta alla situazione emergenziale siano proporzionate, non discriminatorie e necessarie, (ri)affermando l’importanza di leggi e procedure che siano prevedibili e accessibili e che istituiscano prassi conformi agli standard del diritto internazionale nel pieno rispetto dei diritti umani.
Micol Sarà
Studentessa del Master in “Tutela internazionale dei diritti umani Maria Rita Saulle”
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