Nuove prospettive nel rapporto tra diritti umani e cambiamenti climatici: la sentenza della Corte d’appello de L’Aia nel caso Paesi Bassi vs Urgenda.
The Hague Court of Appeal, Civil Law Division, Case no.: 200.178.245/01, Ruling of 9 October 2018, The State of the Netherlands (Ministry of Infrastructure and the Environment) vs Urgenda Foundation
Approfondimento n. 18/2019
La Corte d’appello de L’Aia, sezione civile, con sentenza del 9 ottobre 2018 (Case n. 200.178.245/01), ha confermato la precedente sentenza del Tribunale distrettuale del 24 giugno 2015 con la quale condannava lo Stato olandese per violazione degli artt. 2 e 8 della Convenzione europea dei diritti umani (CEDU) per non aver indicato obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra in linea con gli obiettivi internazionali, in relazione al periodo fino al 2020, e ha ordinato di adottare le misure necessarie per raggiungere la soglia di riduzione del 25%, rispetto ai livelli del 1990, entro la fine del 2020.
La sentenza lega in un rapporto complementare gli obiettivi internazionali sul contrasto ai cambiamenti climatici previsti dall’ordinamento internazionale (Convenzione quadro sui cambiamenti climatici e Accordo di Parigi) agli obblighi sui diritti umani dello Stato, in particolare quelli derivanti dalla CEDU. Alla base di tale pronuncia vi è il ricorso presentato dalla fondazione “Urgenda” (in rappresentanza di 866 cittadini olandesi), secondo cui la riduzione minima del 20% totale delle emissioni di gas serra dichiarata dal governo dei Paesi bassi (21% dei settori afferenti all’European Trading System (ETS) e 16% dei settori non-ETS) non è sufficiente per allinearsi ai target internazionali (40% di riduzioni entro il 2030, 80% entro il 2050, 100% entro il 2100) e, per conformarsi a tali obiettivi, è necessaria una riduzione delle emissioni di almeno il 25% entro il 2020. Tale richiesta è stata accolta in primo grado dal Tribunale distrettuale e, nel settembre 2015, il Ministero delle infrastrutture e dell’ambiente olandese ha deciso di ricorrere in appello.
In merito alla legittimità del ricorrente a presentare un ricorso di questo tipo, il Codice civile olandese stabilisce che gruppi di persone possono intraprendere un’azione collettiva dimostrando un interesse specifico verso la questione e, in quanto individui che rientrano nella giurisdizione dello Stato, possono invocare direttamente la violazione di articoli della CEDU, ai quali viene riconosciuto un effetto diretto nell’ordinamento nazionale.
La Corte ritiene che Urgenda abbia un interesse sufficiente, consistente nella reale minaccia dei cambiamenti climatici, oggi come nel prossimo futuro. Il fatto che la fondazione affermi di agire anche nell’interesse delle generazioni future è irrilevante per l’instaurazione del procedimento in quanto, certamente, agisce per tutelare un interesse della generazione presente e, in modo particolare, dei più giovani, considerati i danni differiti che le attuali azioni stanno producendo.
La Corte ricorda che l’interesse tutelato dall’art. 2 della CEDU comprende situazioni legate all’ambiente che incidono, o minacciano di incidere, sul diritto alla vita, mentre l’art. 8 della CEDU può trovare applicazione anche in relazione a situazioni ambientali se un atto, o un’omissione, ha un effetto negativo sulla vita domestica e/o privata di un cittadino e se tale effetto avverso ha raggiunto un determinato livello minimo di gravità (si veda López Ostra c. Spagna, Guerra et al. c. Italia, Öneryildiz c. Turchia, Budayeva et al. c. Russia, Fadeyeva c. Russia). Ai sensi di tali articoli, il governo ha obblighi sia positivi che negativi relativi agli interessi tutelati da tali disposizioni, compreso l’obbligo di intraprendere azioni concrete per prevenirne una futura violazione.
In relazione agli articoli considerati, la Corte europea dei diritti umani ha specificato che la tutela degli artt. 2 e 8 non deve comunque comportare un “onere impossibile o sproporzionato” per il governo. Questa limitazione generale comporta che il governo debba intraprendere azioni concrete ragionevoli in caso di una reale e imminente minaccia, che l’autorità pubblica conosceva o avrebbe dovuto conoscere. In merito alla scelta delle misure da adottare, lo Stato gode di un ampio margine di apprezzamento.
Nel caso di specie, la Corte riconosce che: a) esiste un nesso diretto tra le emissioni antropogeniche dei gas a effetto serra e il riscaldamento globale; b) i gas a effetto serra emessi raggiungono il loro effetto di riscaldamento completo solo dopo 30 o 40 anni; c) dall’innalzamento della temperatura oltre i 2°C deriveranno diversi problemi concreti quali, inter alia, l’innalzamento del livello del mare, periodi di calore più intensi e più lunghi, aumento delle malattie respiratorie dovute al peggioramento della qualità dell’aria, siccità, aumento della diffusione di malattie infettive, difficoltà nella produzione alimentare e nell’approvvigionamento idrico potabile, perdita di biodiversità. Inoltre, lo stato delle emissioni nei Paesi Bassi è ancora elevato e, a livello mondiale, la concentrazione di CO2 nell’atmosfera è di circa 401 ppm (parti per milione) a fronte di un limite massimo consentito di 450 ppm (considerato come il punto critico oltre il quale non è possibile prevedere misure di adattamento nel breve periodo). Da quanto precede, i giudici ritengono opportuno qualificare il cambiamento climatico come una minaccia reale e immediata, poiché le azioni causanti i danni vengono compiute adesso, e comporta il grave rischio per l’attuale generazione di cittadini di perdita di vite e/o di grave violazione del diritto alla vita familiare. Lo Stato ha pertanto il dovere di tutelare le persone sotto la sua giurisdizione da tale minaccia.
Al fine di valutare la condotta del governo, la Corte prende in considerazione l’obiettivo finale di tali politiche (cessazione completa delle emissioni di gas serra entro il 2100) e gli obiettivi intermedi della riduzione del 49% delle emissioni per il 2030 e dell’80% entro il 2050. La controversia si concentra sulla questione se allo Stato può essere imposta una riduzione del 25% entro il 2020. Urgenda è del parere che tale riduzione sia necessaria per tutelare i cittadini dei Paesi Bassi contro le minacce reali e imminenti del cambiamento climatico. Ma lo stato non vuole impegnarsi oltre la dichiarata riduzione del 20%, come concordato a livello europeo.
La Corte valuta l’impegno del governo sulla base dei criteri di calcolo stabiliti dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) e conclude che la riduzione attuale si attesta intorno al 13-17% nel 2017 e dunque al di sotto della soglia dichiarata. Allo stato attuale, e con un impegno costante, per raggiungere gli obiettivi internazionali sarebbe necessaria una riduzione del 28% entro il 2020.
Inoltre, rispetto agli impegni adottati nell’ambito dell’Unione europea (UE), la Corte rileva che l’art. 193 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) stabilisce che le misure di tutela ambientale, adottate ai sensi dell’art. 192 TFUE, non impediscono a uno Stato membro di adottare misure di protezione più ambiziose purché compatibili con i trattati. Ancora, i giudici riconoscono che, rispetto ad altri Stati membri dell’UE (quali Germania, Regno Unito, Danimarca, Svezia, Francia), gli sforzi di riduzione olandesi sono molto arretrati e ritengono che la tesi, sostenuta dallo Stato, di una “alterazione dell’ETS” o della “delocalizzazione delle imprese olandesi” in caso di adozione di misure più rigide non possano essere accolte perché non sufficientemente dimostrate.
Lo Stato ha inoltre affermato che le emissioni olandesi di gas a effetto serra, in termini assoluti e in relazione alle emissioni mondiali, sono minime, perciò lo Stato non può risolvere il problema da solo e dunque non può essere considerato il responsabile di un problema ampio e legato a decisioni complesse dipendenti, in larga parte, dai negoziati internazionali. Questi argomenti, secondo la Corte, non sono tali da giustificare l’assenza di azioni più ambiziose. Pur riconoscendo che si tratta di un problema globale e che lo Stato non può risolverlo autonomamente, i giudici precisano che ciò non libera lo Stato dal suo obbligo di adottare misure, nell’ambito delle sue capacità, che, di concerto con gli sforzi di altri Stati, forniscano protezione dai pericoli del cambiamento climatico.
Sulla base di tali motivi, la Corte ha condannato lo Stato per non aver adottato il necessario standard of care per prevenire una violazione degli artt. 2 e 8 della CEDU non volendo ridurre le emissioni di almeno il 25%, rispetto ai livelli del 1990, entro la fine del 2020. Lo Stato dovrà pertanto conformarsi a tale pronuncia e, nel definire i nuovi obiettivi di riduzione, dovrà considerare anche un opportuno margine di incertezza che consenta, in ogni caso, di portare il livello di riduzione a tale livello minimo entro il 2020. Il 16 novembre 2018, il governo ha nuovamente annunciato ricorso alla Suprema Corte olandese contro la sentenza.
Gianfranco Gabriele Nucera
Assegnista di ricerca in Diritto internazionale