La violenza sessuale come tattica di guerra e strumento del terrorismo nella ris. 2467 (2019) del Consiglio di sicurezza ONU
Women, Peace and Security: Sexual Violence in Conflict and the UN Security Council resolution 2467 (2019)
Approfondimento 17/2019
Il 23 aprile 2019 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha riconosciuto la violenza sessuale come tattica di guerra e strumento del terrorismo internazionale adottando la ris. 2467 (2019). La risoluzione rappresenta un importante tassello all’interno del più generale quadro normativo in materia di donne pace e sicurezza nell’ambito delle azioni dirette a contrastare la discriminazione contro le donne nei conflitti armati, nelle situazioni post-conflittuali e nella prevenzione dei conflitti. A quasi vent’anni dall’adozione della ris. 1325 (2000), con cui per la prima volta il Consiglio ha inserito le tematiche di genere nell’agenda delle Nazioni Unite, il Consiglio ha ribadito l’importanza di includere le donne nei processi di pace e nella mediazione dei conflitti soprattutto ai più alti livelli e condannando in maniera netta la violenza sessuale nelle situazioni di conflitto. La ris. 2467 (2019) è stata proposta nella sua formula originale dalla Germania, Membro non permanente del Consiglio di sicurezza, la quale ha sottolineato, fin dall’inizio della sua membership al Consiglio, l’urgenza di fornire una risposta globale al dilagarsi dell’utilizzo della violenza sessuale come tattica di guerra e soprattutto come tattica utilizzata dal terrorismo internazionale. Nella sua versione definitiva, la risoluzione è stata votata con 13 voti a favore registrando però le preoccupanti astensioni di Cina e Russia, non includendo però la tutela della salute riproduttiva delle vittime di tali violenze, su proposta degli Stati Uniti.
La violenza sessuale come strumento di guerra era già stata riconosciuta quale grave crimine contro l’umanità tramite la folta giurisprudenza dei tribunali penali internazionali ed è stata poi qualificata come tale soprattutto con lo Statuto della Corte penale internazionale del 1998. Rispetto a quanto già compiuto dalle Nazioni Unite per contrastare il fenomeno, il Consiglio con la ris. 2467 (2019) esprime l’urgenza di attuare misure efficaci per fernare da una parte il dilagarsi dell’utilizzo della violenza sessuale quale strumento di guerra, e dall’altra parte, intervenire per evitare che tale crimine rimanga impunito, sia nel caso in cui le vittime siano donne e bambine, che in presenza di violenze sessuali dirette a uomini e ragazzi. Infatti, perseguire i responsabili di violenza sessuale deve rappresentare, secondo il Consiglio, un impegno costante per evitare che la percezione dell’impunità renda tali crimini “accettabili” in situazioni di conflitto armato e post-conflittuali. La risoluzione evidenzia, poi, che data la responsabilità primaria degli Stati nella tutela dei diritti umani di ogni persona, debbano essere proprio gli Stati stessi ad adottare misure normative interne tese a contrastare il fenomeno da una parte, e prevedere meccanismi interni tesi a perseguire i responsabili. Le azioni degli Stati, infatti, devono essere orientate da un survivor-centred approach, che metta al primo posto la tutela dei sopravvissuti alle violenze sessuali, talvolta caratterizzate da una tale efferatezza che le rende ancor più vulnerabili. Gli Stati sono chiamati anche a garantire ai sopravvissuti di partecipare ai procedimenti penali intrapresi nei confronti dei responsabili, garantendo loro l’incolumità e l’adeguata assistenza sia fisica che psicologica.
In questo contesto, un importante e fondamentale contributo è stato fornito negli ultimi dieci anni dal Segretario generale e dalla Special Representative on Sexual Violence, Pramila Pattern. Quest’ultima ha sottolineato che per troppi anni la violenza sessuale come arma di guerra è stata un crimine sottovalutato, tanto da essere definito “the history’s greatest silence”, soprattutto per l’escalation che ha subito con gli avvenimenti legati alla lotta contro l’ISIS in Siria e Iraq. Il Segretario generale, Antonio Guterres, ha poi evidenziato che nonostante siano molti gli Stati i quali hanno dimostrato il loro straordinario impegno nel garantire la persecuzione dei responsabili di tale crimine, la violenza sessuale come strumento di guerra rappresenti una grave minaccia per la pace e la sicurezza internazionali.
Il Consiglio di sicurezza con la ris. 2467 (2019) invita anche le organizzazioni della società civile a proporre azioni utili dirette a contrastare la diffusione del crimine e nel recupero delle vittime. Tali organizzazioni hanno infatti già dimostrato di svolgere un ruolo importante nell’attuazione delle risoluzioni in materia di donne, pace e sicurezza, partendo dalla storica ris. 1325 (2000) e le successive in materia (dalla ris. 1820 del 2008 alla ris. 2242 del 2015). Le azioni svolte fino ad oggi e quelle da portare avanti in futuro dovranno inoltre rientrare negli obiettivi già stati fissati dalla Convenzione contro l’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne del 1979 e dalla Dichiarazione di Pechino del 1995. La ris. 2467 (2019) è stata anche il frutto della mobilitazione internazionale che si è creata a seguito dell’assegnazione dei due Premi Nobel per la pace nel 2018 a Denis Mukwege, medico e attivista congolese, e Nadia Murad, un’attivista per i diritti umani irachena yazida, vittima sopravvissuta alle violenze dell’ISIS.
Debora Capalbo
Dottoressa di Ricerca in Diritto pubblico, comparato e internazionale