Frontex e il rispetto dei diritti umani: al vaglio della Corte penale internazionale la responsabilità degli stati europei
Communication to the Office of the Prosecutor of the International Criminal Court: EU Migration Policies in the Central Mediterranean and Libya
Approfondimento 25/2019
All’inizio del mese è stato reso noto che la Corte penale internazionale (ICC) ha ricevuto una comunicazione di oltre 240 pagine, contenente le prove, in fatto e in diritto, che permetterebbero l’avvio di un procedimento nei confronti del personale e degli agenti dell’Unione Europea e dei suoi Stati Membri, per la commissione di crimini contro l’umanità, realizzati nel dare attuazione alla politica europea atta a contenere i flussi migratori dall’Africa, dal 2014 ad oggi.
Inoltrata da i due avvocati Juan Branco e Omer Shatz, in collaborazione con l’equipe dell’università di SciencePo di Parigi, la comunicazione inviata all’Ufficio del Procuratore (OTP), intende inserirsi nell’ambito mandato investigativo per i crimini commessi in Libia, di cui l’OTP è già stato investito dal 2011 a seguito del referral del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite attraverso la risoluzione 1970. Nella comunicazione si legge che la Corte avrebbe dunque la competenza e la giurisdizione per individuare la responsabilità penale per la morte in mare di migliaia di migranti, il respingimento (refoulement) di decine di migliaia di migranti che hanno tentato di fuggire dalla Libia, nonché per la complicità in deportazioni, uccisioni, arresti, riduzione in schiavitù, tortura, stupro, persecuzione e altri trattamenti inumani che hanno luogo nei campi di detenzione libici. Le accuse sono mosse distinguendo due specifiche fasi della politica dell’Unione dal 2014 ad oggi: la prima fase della “deterrenza”, caratterizzata dalla scelta di ignorare la condizione dei migranti in grave pericolo in mare, al fine di dissuadere altri migranti dal cercare rifugio in Europa; la seconda atta a estromettere le ONG dal Mediterraneo ed incrementare la collaborazione con la Guardia costiera libica (LYCG), attuando illeciti rimpatri e dunque forzando il trasferimento dei migranti nelle strutture di detenzione in Libia dove i crimini sono commessi.
Sebbene non siano indicati i nomi dei singoli individui incolpabili per i suddetti crimini, e sia lasciato al Procuratore l’onere di rintracciarli data la complessità della catena di comando dietro le operazioni di protezione dei confini esterni dell’Unione, le accuse sono dirette principalmente agli stati che hanno rivestito un ruolo fondamentale nella definizione della politica dell’UE rispetto a quella che viene definita la rotta migratoria più mortale del mondo: Italia, Francia e Germania. Il rapporto spiega nel dettaglio l’applicazione della normativa internazionale penale nei confronti di chi prenda parte a tali operazioni nel rispetto di un gruppo specifico vittima delle condotte illecite: i migranti. Quel che emerge nel delineare le fattispecie criminali in causa è la profonda consapevolezza e conoscenza della situazione in Libia da parte delle istituzioni e dei governi europei, i quali perciò si sono resi responsabili per aver tenuto sia condotte omissive, non attuando operazioni di sbarco e salvataggio dei migranti, sia condotte attive, avendo offerto supporto materiale e strategico alla Libia. Ai sensi della comunicazione, entrambi questi motivi sono alla base della commissione di crimini contro l’umanità.
In conclusione, in questo periodo in cui stringenti modifiche alle politiche immigratorie sono all’ordine del giorno tanto nelle aule parlamentari nazionali quanto nelle sale dell’Unione, la valutazione che verrà prossimamente affrontata dal Procuratore della Corte penale internazionale potrebbe rivestire un ruolo di grande rilevanza. Se da un lato permetterebbe di identificare e punire i colpevoli per le numerose morti nel Mediterraneo avvenute negli ultimi anni e i crimini commessi sul territorio libico a discapito dei migranti, dall’altro potrebbe fungere da parametro per le prossime scelte politiche europee, ormai sempre più necessarie.
Ludovica Di Lullo
Dottoranda in Diritto pubblico, comparato e internazionale