Il collegamento tra riarmo e marginalizzazione del ruolo delle donne alla luce del Rapporto del 2021 del Segretario generale dell’ONU sull’Agenda Donne, Pace e sicurezza e della prassi successiva
Approfondimento 5/2023
Il 27 settembre 2021, il Segretario generale dell’ONU – António Guterres – ha trasmesso al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite il Rapporto del 2021 sull’Agenda donne, pace e sicurezza, redatto ai sensi della dichiarazione presidenziale del 26 ottobre 2010 (S/PRST/2010/22), con il quale l’organo consigliare richiedeva rapporti annuali sull’attuazione della risoluzione 1325 (2000). Inoltre, il Consiglio ha richiesto al Segretario generale di inserire nei suddetti rapporti aggiornamenti sui progressi in tutti i settori dell’Agenda, evidenziandone lacune e sfide (risoluzione 2122 (2013)), nonché sulle misure rafforzate per attuare integralmente l’Agenda (risoluzione 2493 (2019)).
Questo Rapporto è di duplice importanza perché, da una parte, segnala un tendenziale incremento della marginalizzazione del ruolo delle donne nell’anno 2019, destinato ad acuirsi nel 2020 a causa dell’impatto negativo della pandemia di Coronavirus (COVID-19) sulla pace, la sicurezza internazionale e l’uguaglianza di genere, mentre, dall’altra parte, persegue l’obiettivo di promuovere la riduzione delle spese militari globali per incoraggiare maggiori investimenti nelle infrastrutture sociali e nei servizi che rafforzano la sicurezza umana.
In termini generali, il Rapporto è basato sul risultato di una ricerca condotta da UN Women la quale – utilizzando dati provenienti da 153 Paesi dal 1990 al 2019 – evidenzia un chiaro collegamento tra riarmo militare e marginalizzazione del ruolo delle donne, con una tendenza ancora maggiore nei Paesi in via di sviluppo e negli Stati totalitari. In relazione a ciò, nel 2020 nel pieno della pandemia globale, è emerso che la spesa militare ha superato quella sanitaria e per la protezione sociale soprattutto nei Paesi fragili colpiti da conflitti. Tra i casi meritevole di menzione rientra, invero, l’Afghanistan, ove la spesa militare ha rappresentato negli ultimi 10 anni un terzo della spesa pubblica totale rispetto al 3% del bilancio dedicato alla protezione sociale. Analoga situazione si è registrata nel Burkina Faso, in cui il governo ha stanziato quasi dieci volte di più per la difesa che per la protezione sociale.
Il Segretario generale si è posto, in tal senso, l’obiettivo prioritario di cercare di invertire la traiettoria crescente del riarmo militare globale, in quanto si è rilevato che esso non ha soltanto effetti negativi sulla spesa sociale e di conseguenza sull’investimento in infrastrutture predisposte a tutela della collettività, ma determina altresì l’insorgere dell’indifferenza e/o inabilità dei leader politici dinnanzi alle particolari esigenze delle donne e delle ragazze, contribuendo in tal modo inequivocabilmente alla discriminazione di genere e, in ultima analisi, alla marginalizzazione delle donne.
Ulteriore ambito di straordinaria rilevanza del rapporto concerne l’applicazione di misure rafforzate da parte degli Stati al fine di contrastare la marginalizzazione delle donne e la discriminazione di genere. Tra quest’ultime si annoverano indubbiamente le cosiddette “quote di genere”, quali misure temporanee speciali, finalizzate ad incrementare la partecipazione paritaria delle donne ai processi decisionali di pace, politici o di altro tipo. Ad esempio, grazie a queste misure, in Siria le donne costituiscono ormai quasi il 30 % dei 150 membri del Comitato costituzionale. Nell’ambito degli strumenti certamente idonei a promuovere la parità di genere si menzionano anche misure di selezione inclusive (come quelle adottate in Libia attraverso l’organizzazione di una multi-stakeholder consultation con gruppi di donne e attiviste). Un altro esempio di riferimento è certamente rappresentato dal piano d’azione nazionale libanese, il quale nel periodo tra il 2019 e il 2023 ha imposto alle autorità competenti di raddoppiare ogni anno il numero delle donne nel settore della sicurezza.
A conclusione del rapporto del 2021, il Segretario generale dell’ONU eleva l’obiettivo di contrastare la marginalizzazione del ruolo delle donne quale priorità non negoziabile per raggiungere una pace sostenibile e l’uguaglianza di fatto delle donne. A tali fini, egli propone un approccio multi-stakeholder ed una maggiore cooperazione fra gli Stati attraverso l’adozione di misure positive e proattive da parte degli stessi e un maggior investimento nella partecipazione delle donne nei processi decisionali (ad esempio, attraverso partnership strategiche con donne leader locali e reti nella diplomazia virtuale).
Oltretutto, il maggior coinvolgimento nella promozione del ruolo delle donne ha in definitiva rappresentato un elemento concorrente alla riduzione della spesa militare mondiale, contribuendo in tal modo, da un lato, al raggiungimento dell’obiettivo della parità di genere e, dall’altro lato ad incentivare maggiori investimenti sociali e servizi che rafforzano la sicurezza umana.
Diventa quindi sempre più necessario invertire la traiettoria di crescita del riarmo militare globale al fine di garantire una maggiore inclusione delle donne nella società odierna. Il Segretario generale dell’ONU sollecita, quindi, tutti gli Stati membri e in particolare i membri del Consiglio di sicurezza ad aderire al nuovo “Compact on Women, Peace and Security and Humanitarian Action” per includere sistematicamente le donne nelle decisioni che riguardano le loro vite e destinare progressivamente le spese militari degli Stati a favore della sicurezza umana, prevenzione dei conflitti e alla costruzione della pace.
Tuttavia, nel 2023, i dati emergenti dal SIPRI Fact Sheet, i quali si riferiscono agli International Trends Arms Transfers del 2022, registrano una tendenza totalmente opposta rispetto a quella prospettata dal Segretario Generale che, come si è appena considerato, era diretta ad invertire la traiettoria crescente del riarmo militare.
Infatti, dopo l’aggressione militare russa del 24 febbraio 2022 a danno dell’Ucraina, si è registrato – e si regista tutt’oggi con il prosieguo del conflitto russo-ucraino – un progressivo aumento a livello globale del riarmo militare che non può non avere profonde implicazioni in termini di violazioni di diritti umani. Risulta evidente, dunque, che l’inizio della guerra abbia determinato un rilevante incremento a livello internazionale dell’attività di trasferimento di armi da parte degli Stati, stimato nel periodo 2018-2022 in un aumento del 4% più alto rispetto al periodo 2008-2012. I primi cinque Paesi al mondo per export di armi dal 2018 al 2022 sono stati gli Stati Uniti, la Francia, la Cina, la Russia e la Germania, i quali insieme hanno generato il 76% dell’esportazione mondiale di armi. Gli Stati Uniti, in particolare, hanno rappresentato il 40% dell’esportazione a livello globale di armi sempre fra il 2018 e il 2022, la quale è stata altresì il 14% più alta rispetto al 2013-2017. Anche l’esportazione di armi da parte della Francia è cresciuta di circa il 44% tra il 2013-2017 e 2018-2020, mentre al contrario si sottolinea una decrescita della medesima attività da parte della Russia (-31%), Cina (-23%) e Germania (-35%).
A livello europeo, si è rilevato invece che l’importazione di armi è stata il 47% maggiore di quella registratasi dal 2013 al 2017, così come quella posta in essere dagli Stati europei membri della NATO – l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord – risulta essere circa il 65% più elevata. Dall’analisi emerge che tali dati continueranno a crescere nel corso degli anni, in quanto basati su programmi esistenti in relazione all’importazione di armi in risposta all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel febbraio 2022. Dopo l’attacco da parte della Federazione Russa, gli Stati Uniti e molti Stati dell’Unione Europa hanno iniziato ad inviare ingenti quantità di aiuti militari all’Ucraina, con la conseguenza che quest’ultima è divenuta il terzo Stato importatore di armi nel 2022, dopo il Qatar e l’India e il quattordicesimo per gli anni ricompresi dal 2018-2022, rappresentando il 2% delle totali importazioni di armi nel mondo. Fra i 29 Stati che hanno fornito maggiore aiuto militare all’Ucraina nel 2022 vi sono gli Stati Uniti, i quali hanno rappresentato il 35% delle totale importazioni delle armi ucraine nel corso dell’anno, Polonia (17%), Germania (11%), Regno Unito (10%) e Cechia (4.4%).
La situazione attuale è dunque allarmante ed in direzione diametralmente opposta all’obiettivo prioritario del Segretario generale dell’ONU di ridurre la spesa militare globale al fine di garantire i diritti fondamentali della persona, ed in particolare una maggiore inclusione del ruolo delle donne nella società civile. La guerra russo-ucraina ha dunque favorito a partire dal 2022 una nuova corsa globale agli armamenti con conseguenze negative sull’esercizio dei diritti umani fondamentali della persona, in particolare sul diritto alla vita e alla pace. Tale aspetto è evidenziato anche dalla Dichiarazione sul diritto dei popoli alla pace adottata dall’Assemblea generale il 12 novembre 1984 (risoluzione 39/11), la quale costituisce il punto di riferimento essenziale per osservare il rapporto tra armamenti e diritto alla pace. Essa, infatti, proclama che “the preservation of the right of peoples to peace and the promotion of its implementation constitute a fundamental obligation of each State”. Perdipiù, è evidente che l’ingente aumento del riarmo militare a livello globale inficia la qualità dei servizi pubblici rivolti ai cittadini, in quanto determina minori investimenti da parte degli Stati nell’attuazione di infrastrutture che rafforzano il godimento dei diritti economici, sociali e culturali delle persone.
È interessante, inoltre, notare che il collegamento tra riamo militare e violazioni dei diritti umani si evince anche dall’art. 7, par. 4, dell’ATT del 2013 (Arms Trade Treaty), che, tra i criteri che dovranno essere presi in considerazione dallo Stato esportatore, prevede il rischio che le armi siano utilizzate “to commit or facilitate serious acts of gender-based violence or serious acts of violence against women and children”. Viene quindi imposto ai 113 Stati Parti, inclusa l’Italia, l’obbligo di valutare se i trasferimenti di armi possano contribuire a violazioni dei diritti delle donne o dei diritti del bambino, ovvero dei soggetti che costituiscono le principali vittime dei conflitti armati e della violenza bellica.
Veronica Liuzzi
Studentessa del Master Tutela internazionale dei diritti umani “Maria Rita Saulle”
Materiale e link utili
Report of the Secretary-General on Women and peace and security (S/2021/ 827), 27 September 2021;
Wezeman P.D., Gadon J., Wezeman S.T., SIPRI Fact Sheet, March 2023
Ronzitti N., Trattato internazionale sul commercio delle armi, Note Osservatorio di Politica Internazionale, n. 42, ottobre 2013
Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI)