Archiviazione delle indagini relative all’esportazione di armi italiane destinate ad essere utilizzate nel conflitto in Yemen: analisi del caso e della decisione del GIP

Approfondimento 4/2023

Il 10 marzo 2023 il Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) del Tribunale di Roma ha disposto l’archiviazione del procedimento penale a carico di tre funzionari della UAMA (Unità per le autorizzazioni dei materiali d’armamento, l’ente pubblico competente ad autorizzare le esportazioni di armamenti ai sensi dell’art.7-bis della Legge 185/1990) e dell’amministratore delegato di RWM Italia SpA, azienda produttrice di armi. I quattro erano indagati in relazione al ruolo svolto nella vendita all’Arabia Saudita di materiale bellico utilizzato per la commissione di crimini di guerra in Yemen, nel contesto della guerra civile che dal 2014 vede opposti i ribelli Houthi e le forze governative, queste ultime sostenute da una coalizione di vari Stati a guida saudita.

Il caso era iniziato nell’aprile del 2018, quando tre organizzazioni non-governative – la yemenita Mwatana for Human Rights, la tedesca European Center for Constitutional and Human Rights (ECCHR) e Rete italiana per il Disarmo (oggi Rete Italiana Pace e Disarmo, RIPD) – avevano presentato una denuncia nei confronti dei funzionari pubblici e dei dirigenti d’impresa coinvolti nell’esportazione verso l’Arabia Saudita di prodotti militari utilizzati in un attacco contro obiettivi civili in Yemen. Nello specifico, oggetto della denuncia era un bombardamento condotto l’8 ottobre 2016 dalla coalizione saudita sul villaggio yemenita di Deir Al-Hajari, in cui era stata colpita un’abitazione civile causando la morte dei sei membri di una famiglia, tra cui quattro minori. Il giorno successivo sul luogo erano stati ritrovati i resti della bomba sganciata sull’abitazione, su cui era leggibile il codice di serie che ne indicava la fabbricazione da parte di RWM Italia e, dunque, la sua esportazione dall’Italia in forza di un’autorizzazione rilasciata dalla UAMA.

Nella denuncia veniva argomentato che l’esportazione in questione era avvenuta nella consapevolezza degli indagati del rischio che le armi venissero utilizzate per la commissione di crimini di guerra, in quanto sin dal 2015 vari attacchi contro civili ad opera delle forze saudite erano stati denunciati da organi delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea. Pertanto, a parere delle denuncianti, la decisione di autorizzare l’esportazione era stata presa in violazione della normativa applicabile: in particolare, si contestava l’inosservanza del Trattato sul Commercio di Armi (TCA), ratificato dall’Italia nel 2014 e le cui disposizioni integrano la legge italiana in materia (Legge 185/1990). Il TCA vieta infatti i trasferimenti di armamenti nel caso in cui gli Stati parte siano a conoscenza del loro possibile utilizzo contro obiettivi civili (art. 6) ed impone di non autorizzare esportazioni laddove vi sia un “overridding risk” che le armi vengano utilizzate per commettere serie violazioni del diritto internazionale umanitario o dei diritti umani (art. 7). Alla luce di tali considerazioni, veniva chiesto di indagare, per i funzionari della UAMA, per il reato di abuso di ufficio (art. 323 c.p.) e, sia per i funzionari che per i dirigenti di RWM Italia, per concorso nei reati di omicidio colposo e lesioni gravi colpose (artt. 589, 590 c.p.).

L’8 ottobre 2019 il PM incaricato delle indagini ha chiesto l’archiviazione, pur riconoscendo che l’ordigno utilizzato nel bombardamento oggetto della denuncia era stato prodotto da RWM Italia ed esportato in forza di una licenza rilasciata dalla UAMA nel novembre 2015. Mentre i reati di omicidio e lesioni non sono stati presi in considerazione, circa il reato di abuso di ufficio il PM ha ritenuto non sussistere l’elemento soggettivo richiesto dall’art. 323 c.p., consistente nella volontà di procurare un ingiusto vantaggio patrimoniale o un danno ingiusto. A sostegno di tale conclusione è stato evidenziato come la decisione dei funzionari della UAMA si fosse conformata ai pareri ricevuti dal competente organo consultivo (ai sensi dell’art. 7 della Legge 180/90, la UAMA si avvale dei pareri di un comitato interministeriale composto da rappresentanti di vari dicasteri, tra cui quelli della difesa, interno, economia e ambiente). Secondo il PM, anzi, un eventuale diniego all’esportazione sarebbe stato contrario all’interesse nazionale rappresentato dall’attività industriale di RWM Italia in termini di creazione e mantenimento di posti di lavoro. A seguito dell’opposizione proposta dalle organizzazioni denuncianti, il 22 febbraio 2021 il GIP del Tribunale di Roma ha ordinato la prosecuzione delle indagini. Il giudice ha ritenuto che la conformità della decisione ai pareri favorevoli non rilevi ai fini di stabilire la regolarità del procedimento di autorizzazione all’esportazione, in quanto “si tratta di pareri non vincolanti, (…) ferma restando la responsabilità della UAMA in merito all’adozione del provvedimento finale”. È stata altresì respinta la tesi del PM secondo cui la decisione autorizzare l’esportazione era esente da vizi in quanto finalizzata a garantire l’interesse pubblico del mantenimento ed aumento dei posti di lavoro garantiti da RWM Italia, poiché “il pur doveroso, imprescindibile impegno dello Stato per salvaguardare i livelli occupazionali non può, nemmeno in astratto, giustificare una consapevole, deliberata violazione di norme che vietano l’esportazione di armi verso Paesi responsabili di gravi crimini di guerra e contro popolazioni civili”. Dunque, pur senza arrivare a conclusioni sul merito circa la correttezza del processo decisionale adottato dalla UAMA, il giudice ha chiesto al PM di proseguire ed ampliare le indagini.

Nel marzo del 2022 il PM ha nuovamente chiesto l’archiviazione ed il 10 marzo 2023 un diverso GIP del Tribunale di Roma ha accolto la richiesta. In tale pronuncia, innanzitutto, il giudice ha confermato che i funzionari dell’UAMA erano sin dal 2015 “certamente consapevol[i] del possibile impiego delle armi vendute dalla RWM all’Arabia nel conflitto in Yemen a danno di civili” e che “hanno continuato a rilasciare licenze per l’esportazione di armi alla società RWM anche negli anni successivi, in violazione almeno dell’art. 6 e 7 del Trattato sul commercio delle armi (TCA)”. Il GIP ha quindi accertato che i funzionari della UAMA hanno violato le disposizioni del TCA, esplicitamente definito “uno strumento giuridico vincolante”. Ciononostante, è stato escluso che si potesse configurare una responsabilità penale in capo agli indagati, in quanto le licenze sarebbero sempre state rilasciate con il parere positivo del sopracitato organo consultivo. Il giudice non ha quindi considerato la natura non vincolante di tali pareri né, secondo le denuncianti, la circostanza che dagli atti delle indagini risultasse come i pareri forniti alla UAMA negli anni non siano sempre stati favorevoli all’esportazione verso l’Arabia Saudita. Inoltre, il GIP ha valorizzato il fatto che i funzionari abbiano agito “in conformità con l’orientamento della politica estera e di difesa del stato, (…) quindi allo scopo di raggiungere uno scopo pubblico”.

Tali motivazioni a sostegno dell’accoglimento della domanda di archiviazione non appaiono esenti da critiche, in particolare per quanto riguarda la regolarità della decisione di autorizzazione all’esportazione. Infatti, essendo stato ritenuto certo che i funzionari della UAMA avessero piena consapevolezza del rischio che le armi esportate verso l’Arabia Saudita potessero essere utilizzate contro civili in Yemen, sembrerebbe lecito concludere che il rilascio di licenze a RWM Italia costituisca una violazione della disciplina interna che recepisce i sopra richiamati articoli 6 e 7 del TCA. Il giudice, invece, ha ritenuto in ultima analisi che il processo decisionale adottato dagli indagati fosse esente da vizi, sulla base della conformità della decisione ai pareri (non vincolanti) ricevuti e della liceità della finalità economica e politica perseguita. In altre parole, il GIP sembrerebbe ritenere che il perseguimento di priorità nazionali ed il rispetto di formalità procedurali possano giustificare la violazione di norme internazionali vincolanti. Tale conclusione, tuttavia, non risulta conforme al principio della prevalenza del diritto internazionale rispetto alla legge ordinaria, sancito dall’articolo 117, primo comma, della Costituzione, secondo cui il legislatore italiano è tenuto ad esercitare le sue competenze nel rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali. Avendo l’Italia dato esecuzione al TCA tramite l’adozione della Legge 4 ottobre 2013, n. 118, le disposizioni di tale trattato internazionale sono pienamente applicabili nel nostro ordinamento e, soprattutto, prevalgono su disposizioni di leggi nazionali eventualmente in contrasto, in virtù del loro rango “subordinato alla Costituzione, ma intermedio tra questa e la legge ordinaria” (come sostenuto dalla Corte Costituzionale nella sentenza 348/2007, in relazione alle norme della CEDU).

Da quanto sopra emerge come il GIP non abbia raggiunto una conclusione univoca circa la conformità alla legge della decisione dei funzionari della UAMA: se da un lato ha affermato che gli indagati hanno agito in violazione degli articoli 6 e 7 del TCA, dall’altro non ha ritenuto che ciò fosse sufficiente per considerare illegittima la condotta dei pubblici ufficiali ai sensi del reato di abuso di ufficio. L’assenza di una definitiva presa di posizione circa la validità della decisione di autorizzare l’esportazione, tuttavia, è coerente con la natura penale del procedimento in esame, finalizzato a valutare eventuali profili di responsabilità penale in capo agli individui indagati e non la validità del procedimento amministrativo. Per ottenere una pronuncia giudiziale sulla legittimità della decisione dei funzionari della UAMA, sarebbe stato piuttosto necessario proporre ricorso davanti al competente Tribunale amministrativo, come peraltro avvenuto in altre giurisdizioni europee. In alcuni casi, come nel Regno Unito ed in Belgio, l’impugnazione in via amministrativa delle licenze per le esportazioni di prodotti bellici verso Paesi coinvolti nella guerra in Yemen ha portato all’annullamento delle decisioni di autorizzare la vendita di armi, proprio in virtù della mancata considerazione da parte delle autorità competenti del rischio che venissero usate in maniera contraria al diritto internazionale. La via del ricorso amministrativo contro le decisioni della UAMA di concedere licenze per esportare armi verso paesi responsabili di gravi violazioni di diritto internazionale rimane dunque una possibilità da esplorare nel nostro ordinamento, dove ad oggi non si registrano precedenti.

Per concludere, è interessante notare come nel corso del procedimento non sia stata in alcun modo presa in considerazione la condotta dei dirigenti di RWM Italia, benché l’amministratore delegato dell’azienda risultasse tra gli indagati. Trattasi di un’occasione mancata per valutare la possibile rilevanza nell’ordinamento italiano della condotta dei dirigenti di imprese che, attraverso le proprie attività commerciali, contribuiscono a violazioni dei diritti umani. La questione è di grande attualità, come dimostrano le discussioni in seno alle Nazioni Unite e all’Unione Europea per l’adozione, rispettivamente, di un trattato internazionale e di una Direttiva che imporrebbero agli Stati di implementare misure che obblighino le imprese private ad operare in maniera rispettosa dei diritti fondamentali degli individui interessati dalle loro attività. A differenza di altri Stati europei, quali Francia e Germania, in Italia non è ad oggi in vigore alcuna legge ad hoc che richieda alle imprese il rispetto di precisi standard di condotta in materia di diritti umani e che preveda relative sanzioni, anche penali. Tuttavia, l’Italia si è impegnata a dare attuazione a due fondamentali strumenti internazionali (non vincolanti) in materia: i Principi guida su impresa e diritti umani (Principi Guida) delle Nazioni Unite e le Linee Guida destinate alle imprese multinazionali (Linee Guida) dell’OCSE. In particolare, le Linee Guida prevedono uno specifico meccanismo non-giudiziale di reclamo che ogni Stato aderente è chiamato a istituire, i Punti di Contatto Nazionale (PCN). L’Italia ha istituito il proprio Punto di Contatto Nazionale e, in linea di principio, sarebbe dunque possibile presentare un’istanza nei confronti di aziende italiane produttrici d’armi che esportino i loro prodotti verso Paesi responsabili di gravi violazioni di diritto umanitario e dei diritti umani, al fine di ottenere un’autorevole (ma non vincolante per l’impresa) pronuncia circa la conformità o meno di tali operazioni commerciali ai principi in materia di imprese e diritti umani enunciati nelle Linee Guida.

Carlo Mazzoleni

Dottorando di ricerca in Diritto pubblico, comparato internazionale – Curriculum in Ordine internazionale e diritti umani, Sapienza Università di Roma

Materiale e link utili

A. Coco, I Divieti di Trasferimento ai sensi degli Articoli 6 e 7 del Trattato sul Commercio delle Armi, Rivista di Diritto Internazionale, Issue n. 4, 2013: https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=2669153

B.Á.Á Martínez, A Balance of Risks: The Protection of Human Rights in International Arms Trade Agreements, Security and Human Rights, 29(1-4), 199-215, 2018: https://brill.com/view/journals/shrs/29/1-4/article-p199_199.xml?language=en

S. Musa, The Saudi-Led Coalition in Yemen, Arms Exports and Human Rights: Prevention Is Better Than Cure, Journal of Conflict and Security Law, Volume 22, Issue 3, 2017: https://academic.oup.com/jcsl/article/22/3/433/4719304

UN Human Rights Council, Impact of arms transfers on the enjoyment of human rights – Report of the Office of the United Nations High Commissioner for Human Rights, A/HRC/35/8, 2017: https://www.ohchr.org/en/documents/thematic-reports/impact-arms-transfers-enjoyment-human-rights-2017-report

UN Human Rights Council, Situation of human rights in Yemen, including violations and abuses since September 2014 – Report of the Group of Eminent International and Regional Experts on Yemen, A/HRC/48/20, 2021: https://www.ohchr.org/sites/default/files/2021-12/A_HRC_48_20_AdvanceEditedVersion.pdf

UN Working Group on Business and Human Rights, Responsible business conduct in the arms sector: Ensuring business practice in line with the UN Guiding Principles on Business and Human Rights, Information Note, 2022: https://www.ohchr.org/sites/default/files/2022-08/BHR-Arms-sector-info-note.pdf

Senato della Repubblica, Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento, relativa all’anno 2021, Documenti non legislativi, Doc. LXVII, N. 5, 2022: https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/368691.pdf