Le conclusioni dell’indagine Onu sulle violenze israeliane nei Territori occupati: tra violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario
Report of the Indipendente International Commission of Inquiry on the Protests in the Occupied Palestinian Territory
Approfondimento n. 10/2019
La Grande Marcia del ritorno (marzo-dicembre 2018) con cui oltre 400mila palestinesi hanno manifestato contro le restrizioni sul flusso di merci e persone imposte da Tel Aviv e la grave crisi umanitaria-sociale che ha investito Gaza, è stata teatro di numerose violenze che la Commissione d’inchiesta incaricata dal Consiglio dei diritti umani dell’ONU ha definito come potenziali crimini di guerra e contro l’umanità.
Israele, contravvenendo all’obbligo di garantire la salute e il benessere sociale della popolazione palestinese e commettendo violenze su larga scala, avrebbe infatti violato il diritto internazionale dei diritti umani – segnatamente il diritto alla vita, la libertà di riunione, associazione e di espressione – e il principio di distinzione del diritto internazionale umanitario.
Le azioni delle forze di sicurezza israeliane, con l’eccezione di due soli incidenti, non sarebbero infatti configurabili come risposte legittime ad attacchi armati né ad atti che rappresentino una minaccia imminente alla vita o un rischio concreto di “serious injuries”.
La maggior parte delle vittime degli attacchi dell’esercito israeliano – 189 morti e 300 feriti – sarebbe stata chiaramente individuata e colpita da cecchini in regione del ruolo politico-sociale o delle particolari condizioni fisiche posseduti – il riferimento è a giornalisti, personale medico, membri di gruppi armati palestinesi, come anche disabili, donne e bambini – senza che rappresentassero una minaccia imminente né che fossero direttamente coinvolti nelle dimostrazioni.
La Commissione, nel suo Rapporto, smentisce inoltre la narrativa israeliana secondo cui le proteste lungo le linee di demarcazione tra Gaza e Israele – in verità di natura civile – erano volte a mascherare atti di terrorismo orchestrati da gruppi armati palestinesi. Secondo il Rapporto in esame le manifestazioni non costituirono neanche combattimenti o campagne militari, nonostante fossero ispirate da chiari obiettivi politici.
A conclusione del suo studio, la Commissione ha affermato l’obbligo dello stato israeliano di avviare indagini interne al fine di accertare eventuali violazioni gravi del diritto internazionale ed identificare e punire i diretti responsabili – categoria, quest’ultima in cui rientrano non solo vedette, cecchini e comandanti presenti sul luogo dei fatti, ma anche la leadership militare e civile che ha approvato e vigilato sull’implementazione delle regole d’ingaggio relative alla gestione delle attività dell’esercito israeliano durante le dimostrazioni del 2018.
Tale prospettiva risulta tuttavia poco realistica in ragione dell’atteggiamento ostile dimostrato dal governo israeliano – oggi come in passato – nei confronti di qualsiasi indagine relativa a potenziali crimini commessi contro la popolazione palestinese che coinvolgano comandanti o soldati del proprio esercito, come anche verso il rispetto del diritto di risarcimento delle vittime e del dritto ad un equo processo.
Anche in questo caso le autorità israeliane, dopo essersi rifiutate di collaborare alle indagini, hanno infatti respinto le conclusioni e le raccomandazioni dell’inchiesta indipendente delle Nazioni Unite, definendole false e pretestuose, e riaffermando, contestualmente, il proprio diritto di autodifesa.
Per favorire l’attivazione di meccanismi giudiziari nazionali e internazionali, la Commissione ha messo disposizione un fascicolo confidenziale con dati, documenti e informazioni pertinenti raccolte nel corso delle indagini.
Marta Panaiotti
Tutor del Master in Tulela Internazionale dei Diritti Umani
OHCHR – Report on the protests in the Occupied Palestinian Territory.pdf