L’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa propone l’adozione di un protocollo addizionale alla CEDU sul diritto ad un ambiente “safe, clean, healthy and sustainable”

Approfondimento n. 9/2021                                      

Il 29 settembre 2021 l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha presentato una proposta di protocollo addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) sul diritto “to a safe, clean, healthy and sustainable environment”.

Nella raccomandazione n. 2211, di cui il testo del protocollo è parte integrante, l’Assemblea si dice fortemente preoccupata per la velocità e l’estensione del fenomeno del degrado ambientale, della crisi climatica e della perdita della biodiversità, nonché per il significativo impatto che questi hanno sulla salute, la dignità, la vita umana, nonché sull’effettivo godimento, da parte degli individui e della società nel suo complesso, dei diritti che il Consiglio è chiamato a tutelare. Questa deprecabile situazione costituisce “a compelling case for consolidating and updating the Council of Europe legal arsenal”, conformemente alle convenzioni internazionali in materia di salvaguardia ambientale, quali la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) e l’Accordo di Parigi. 

Come noto, la CEDU contempla solo i cosiddetti “diritti di prima generazione”, secondo la classificazione proposta da Norberto Bobbio, ossia i diritti civili e politici. Non stupisce, pertanto, che questa non contenga disposizioni che riconoscano e tutelino espressamente il diritto ad un ambiente salubre. Ciononostante, la vasta giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, organo preposto alla corretta interpretazione ed attuazione della Convenzione, ne ha esteso significativamente l’ambito di applicazione, anche a campi inesistenti o irrilevanti nel 1950, quando fu adottata, in un’ottica evolutiva e trasformativa, al fine, cioè, di adeguarla ai mutamenti sociali, culturali, economici e tecnologici intervenuti nel corso dei decenni. Ciò è accaduto anche con riferimento alla tutela ambientale, materia su cui la Corte si è pronunciata in circa trecento sentenze. Il leading case è stato Lopez Ostra c. Spagna del 1994: la ricorrente, una cittadina spagnola che viveva vicino un impianto per il trattamento di scarti provenienti da concerie che immetteva gas e odori sgradevoli nell’aria, a causa dei quali i residenti avevano nausee e problemi di salute, era stata costretta a lasciare la propria casa per un periodo e lamentava la totale indifferenza dell’autorità. La Corte ha considerato tale inquinamento atmosferico, per quanto non un serio pericolo per la sua salute, una violazione del diritto della signora Lopez Ostra al rispetto della sua vita privata e familiare, sancito dall’art. 8 CEDU. In un altro celebre caso, Öneryildiz c. Turchia del 2004, la Corte ha desunto dall’art. 2 CEDU, che protegge il diritto alla vita, e dall’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 l’obbligo per gli Stati parti di adottare un efficace quadro normativo e misure concrete per stabilire la sussistenza di un potenziale rischio ambientale e per tutelare la vita umana. In altre importanti pronunce, la Corte ha stabilito che gli interessi economici e persino la protezione di alcuni diritti fondamentali, quale quello di proprietà, non devono prevalere sulla salvaguardia dell’ambiente (casi Fredin c. Svezia del 1991, Hamer c. Belgio del 2007, Bacila c. Romania del 2010). 

Neanche la più recente (in quanto adottata nel 1961 ma rivista nel 1996) Carta sociale europea, che tutela i diritti economici e sociali (o “di seconda generazione”, sempre secondo la sopraddetta classificazione) riconosce il diritto ad un ambiente sano, per quanto il Comitato europeo dei diritti sociali, che ne monitora il rispetto e la corretta implementazione, abbia ricavato dal diritto alla salute di cui all’art. 11 l’obbligo a realizzazione progressiva per gli Stati parti di contrastare l’inquinamento al fine di preservare l’“healthy environement” (Marangopoulos Foundation for Human Rights c. Grecia, ricorso n. 30/2005, decisione sul merito del 6 dicembre 2006, parr. 203 e 205).

Queste convenzioni ed i relativi meccanismi di controllo, sostiene l’Assemblea parlamentare nella risoluzione n. 2396, approvata nel corso della stessa seduta, non possono che offrire una tutela indiretta e quindi insufficiente al diritto ad un ambiente salubre “by sanctioning only environmental violations that simultaneously result in an infringement of other human rights already recognised [in them]”, mentre un protocollo ad esso specificamente dedicato, in quanto strumento giuridico vincolante e giustiziabile, costituirebbe “a non-disputable base for rulings concerning human rights violations arising from environment-related adverse impacts on human health, dignity and life”, fungendo inoltre da “preventive mechanism to supplement the currently rather reactive case law of the Court” e facilitando la proposizione di ricorsi. Peraltro, ad avviso dei parlamentari, la Corte nella sua giurisprudenza avrebbe adottato un approccio “antropocentrico ed utilitaristico”, non accordando alla natura ed agli ecosistemi una protezione giuridica per se, bensì in funzione delle necessità umane, senza quindi riconoscerne il valore intrinseco. 

Nella medesima risoluzione l’Assemblea individua altre ragioni che giustificherebbero l’urgenza di adottare suddetto protocollo. In primis, sottolinea come la nozione di protezione dei diritti umani abbia subito una significativa evoluzione nel tempo. Infatti, con l’elaborazione del concetto di sustainable development ad opera dei policymakers a livello internazionale e nazionale, a partire dal Rapporto della Commissione Brundtland del 1987, si è data maggiore importanza al legame tra ambiente, sviluppo e diritti umani e si è compreso che un ambiente sano è la condicio sine qua non per l’effettivo godimento dei diritti fondamentali. A questo proposito, viene richiamata la Dichiarazione di Stoccolma del 1972, atto finale della Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente umano, che per la prima volta ha individuato questo legame e ha implicitamente affermato il diritto “to a healthy environment”, oggi riconosciuto da molteplici accordi regionali ed universali. Alla luce di questo processo evolutivo, “as the European continent’s leading human rights and rule of law organisation”, il Consiglio d’Europa “should stay proactive in the evolution of human rights and adapt its legal framework accordingly”. Ciò implica che la sua visione della “contemporary human rights protection” non deve più limitarsi alla tutela dei soli diritti civili e politici sanciti dalla CEDU e di quelli economici e sociali protetti dalla Carta sociale europea, bensì deve includere la salvaguardia della “nuova generazione di diritti umani”: gli “ecological human rights”. Questi ultimi devono essere protetti attraverso strumenti normativi innovativi in quanto sono violati dai fenomeni connessi al degrado ambientali, gravi pericoli per la sopravvivenza umana. 

Il riconoscimento di questi diritti in capo alle generazioni future, afferma sempre la risoluzione, è peraltro necessario, in un’ottica di responsabilità transgenerazionale, per assicurare a queste ultime una protezione adeguata nei confronti dei danni irreversibili e degli effetti di breve e lungo termine provocati dalla crisi climatica. Fungerebbe peraltro da incentivo per gli Stati membri per l’adozione di legislazioni nazionali più stringenti e permetterebbe al Consiglio di adeguarsi alla normativa ambientale internazionale e dell’Unione europea, in particolare agli studi ed alle risoluzioni sui diritti umani e l’ambiente condotti dalle Nazioni Unite che contemplano obblighi connessi al godimento del diritto ad un ambiente sano, per quanto, secondo i parlamentari, bisognerebbe spingersi oltre e sancire il più ampio diritto ad un ambiente “decent” o “ecologically viable”.

Infatti, l’art. 1 del draft chiarisce che, ai sensi del Protocollo, per “right to a safe, clean, healthy and sustainable environment” di cui all’art. 5 deve intendersi “the right of present and future generations to live in a non-degraded, viable and decent environment that is conducive to their health, development and well-being”. Contestualmente, all’art. 6 vengono sanciti diritti procedurali, in particolare quello di accedere ad informazioni detenute dall’autorità pubblica “without having to prove an interest”, ad essere coinvolto nei processi decisionali per la realizzazione di un progetto, un programma o una politica che abbia un impatto sull’ambiente, nonché il diritto di accesso alla giustizia e ad un rimedio giurisdizionale effettivo.   

Il Protocollo codificherebbe alcuni principi cardine del diritto internazionale dell’ambiente: all’art. 2 quello della responsabilità, equità e solidarietà transgenerazionale, che costituisce una delle molteplici dimensioni in cui si articola il concetto di sviluppo sostenibile; all’art. 4 quello di prevenzione, quello di precauzione e quello di non regressione. Al contempo, ne contemplerebbe altri meno consolidati, come quello di in dubio pro natura (art. 4) e altri innovativi, quale il divieto di “discriminazione ambientale”, che riconosce che il degrado ambientale colpisce certe categorie di individui o generazioni più di altre ed è finalizzato alla rimozione di questa disparità (art. 3).

L’Assemblea parlamentare, nella raccomandazione e nella risoluzione soprarichiamate, ha inoltre suggerito l’adozione di un protocollo addizionale alla Carta sociale europea, anch’esso dedicato al diritto ad un ambiente salubre, poiché consentirebbe di riconoscere “the interrelationship between protection of social rights and environmental protection” e soprattutto “it would enable non-governmental organisations to lodge collective complaints on environmental issues”, precisando che la Carta e la CEDU, pur essendo strumenti complementari e interdipendenti, presentano le proprie specificità. Ha anche sollecitato l’elaborazione di un’ulteriore convenzione sugli “environmental threats and technological hazards” che mettono a rischio la salute, la dignità e la vita umana, da articolare in “5P” (prevenire, perseguire, proteggere, politiche, parlamenti). Questa dovrebbe istituire un meccanismo di controllo composto da esperti indipendenti, che ricalchi il modello del GRETA e del GREVIO. Ha infine raccomandato agli Stati membri di rafforzare la corporate environmental responsibility, in ragione della “genuine co-responsibility towards the prevention and alleviation of environmental harm by both States and non-State actors, including corporate actors”, attraverso la predisposizione di un quadro normativo ah hoc, la modifica della raccomandazione CM/Rec(2016)3 su diritti umani ed imprese e la partecipazione all’open-ended intergovernmental working group on transnational corporations and other business enterprises with respect to human rights on a legally binding instrument on business activities and human rights delle Nazioni Unite.

La raccomandazione n. 2211 sarà esaminata dal Comitato dei Ministri, secondo quanto previsto dall’art. 15 lett. a dello Statuto del Consiglio d’Europa. Perché il testo del protocollo sia adottato è necessario, ai sensi dell’art. 20, che sia approvato dal Comitato a maggioranza dei due terzi dei voti espressi e a maggioranza dei rappresentanti aventi diritto di partecipare alle sedute. 

Già nel 2009 l’Assemblea aveva avanzato una proposta simile con la raccomandazione n. 1885, la quale però non venne accolta. Rispetto a dieci anni fa, tuttavia, sono intervenuti molteplici cambiamenti. Nel 2015 le Nazioni Unite hanno formulato i Sustainable Development Goals da raggiungere entro il 2030 e nello stesso anno sono stati siglati gli Accordi di Parigi nel contesto della COP21. Nell’agenda dei più importanti vertici internazionali, in primis del G20, trova più ampio spazio la questione ambientale, non a caso il programma della Presidenza italiana di quest’anno si articola intorno al trinomio “People, Planet, Prosperity”. Da ultimo, la pandemia di COVID-19, secondo alcuni scienziati provocata proprio da un rapporto promiscuo tra uomo e natura, ha mostrato tutta la fragilità dell’attuale sistema di sviluppo umano ed economico. Gli stessi Stati membri del Consiglio d’Europa sono investiti dalle terribili conseguenze della crisi climatica, come le violente alluvioni e i più frequenti giorni di caldo estremo dell’estate scorsa hanno dimostrato. Trentadue di questi contemplano già, nelle loro carte costituzionali, il diritto ad un ambiente salubre. In Italia finora sono state presentate quattro proposte di riforma costituzionale per l’introduzione della nozione di sviluppo sostenibile nella Costituzione. 

Quanto detto finora potrebbe indurre a pensare che i tempi siano finalmente maturi perché il Consiglio d’Europa proclami “the right to a safe, clean, healthy and sustainable environment”. In realtà, finora questo si è impegnato solamente all’adozione di atti di soft law in materia, come affermato nella Declaration on Human Rights and the Environment adottata nel corso della High-Level Conference del 27 febbraio 2020. Ad ogni modo, l’opinione di chi scrive è che un simile protocollo alla CEDU consentirebbe una tutela più efficace perché diretta del bene giuridico dell’ambiente e rappresenterebbe quindi uno strumento normativo più efficace per contrastare i fenomeni connessi al degrado ambientale. 

Martina Lo Verso

Studentessa del Master in Tutela internazionale dei diritti umani “Maria Rita Saulle”

Link e contributi utili

Risoluzione n. 2396 (2021) dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa del 29 settembre 2021, Anchoring the right to a healthy environment: need for enhanced action by the Council of Europe, cfr. https://pace.coe.int/pdf/a1a2a7f0cde9d4423de566e20335704d29cf4be34aa45a8c38616ecd18fa80c0/resolution%202396.pdf;

Raccomandazione n. 2211 (2021) dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa del 29 settembre 2021, Anchoring the right to a healthy environment: need for enhanced action by the Council of Europe, cfr.https://pace.coe.int/pdf/f8f713e5109446521c44b6074ec55356f1e85bce8bbb5299ef4f95fe251fa994/recommendation%202211.pdf

Raccomandazione n. 1885 (2009) dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa del 30 settembre 2009, Drafting an additional protocol to the European Convention on Human Rights concerning the right to a healthy environment, cfr. https://pace.coe.int/pdf/587c63ff28bdfa229a9a1a277228c9ef23c0e812454cea5f8f46a5b30fa67a21/recommendation%201885.pdf;

Corte europea dei diritti dell’uomo, Environment and the European Convention on Human Rights, Strasburgo, luglio 2021, cfr. https://www.echr.coe.int/Documents/FS_Environment_ENG.pdf

N. Kobylarz, The European Court of Human Rights: An Underrated Forum for Environemental Litigation, in H. Tegner Ankers, B. Egelund Olsen (a cura di), Sustainable Management of Natural Resources, Legal Instruments and Approaches, Cambridge, 2018.

Comitato europeo dei diritti sociali, Digest of the Case Law of the European Committee of Social Rights, Strasburgo, dicembre 2018, cfr. https://rm.coe.int/digest-2018-parts-i-ii-iii-iv-en/1680939f80 ;

D.d.l. cost. n. 938 del 13 novembre 2018, Modifiche agli articoli 2, 9 e 41 della Costituzione, in materia di tutela dell’ambiente e di promozione dello sviluppo sostenibile, cfr. https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/357165.pdf

Consiglio d’Europa, Proceedings of the High-level Conference “Environmental Protection and Human Rights” on 27 February 2020 with the Manual on Human Rights and the Environment (2nd edition/2012), Stasburgo, settembre 2019, cfr. https://rm.coe.int/protection-environnementale-en/16809fb087