La violazione del diritto all’istruzione per le donne in Afghanistan
Approfondimento n. 11/2021
L’importanza del diritto all’istruzione (o diritto all’educazione) nel sistema internazionale di tutela dei diritti dell’uomo, si delinea già a partire dall’art. 26 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo e dei popoli del 1948 che lo annovera tra i diritti fondamentali. Essa, infatti, è la prima disposizione a riconoscere l’istruzione elementare come gratuita e obbligatoria e l’educazione indispensabile “al pieno sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali”.
Un ulteriore menzione arriva con il Patto Internazionale sui Diritti economici, sociali e culturali (1966) e, in particolare, con gli artt. 13 e 14, i quali pongono l’accento sul carattere universale di questo diritto e sulla sua importanza nell’ottica di promuovere lo sviluppo della persona e la sua piena partecipazione alla vita politica e sociale.
Anche nel quadro della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali(1950), vi è una norma, l’art. 2 Prot. 1 CEDU, la quale statuisce che il diritto all’istruzione non può essere rifiutato a nessuno e che lo Stato nell’esercizio delle funzioni che assume nel campo dell’educazione e dell’insegnamento, deve rispettare il diritto dei genitori a occuparsi dell’educazione dei figli secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche.
Una legittimazione particolarmente ampia, infine, deriva dalla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (1989), specificatamente negli artt. 28 e 29. Il primo si sofferma sulle azioni che tutti gli Stati firmatari della Convenzione si impegnano a compiere al fine di garantire il godimento di questo diritto, l’art. 29, invece, elenca quali siano le finalità che l’educazione debba perseguire.
Sebbene all’interno del sistema delle Nazioni Unite sono numerosi gli strumenti e le pronunce dei vari organi internazionali contenenti uno specifico riferimento al diritto all’educazione, al giorno d’oggi continuano a verificarsi casi in cui tale diritto non viene adeguatamente rispettato, specialmente nei paesi del Terzo Mondo.
Una situazione che desta particolari preoccupazioni è quella causata dei recenti sviluppi in Afghanistan.
Al fine di comprendere in maniera esaustiva la condizione in cui versa lo Stato in questione, è bene fare riferimento ad alcuni aspetti legati al sistema giuridico islamico.
La sharia, comunemente definita come legge islamica, è in realtà un sistema di princìpi a cui i fedeli si ispirano per la condotta personale ed è il risultato di un’interpretazione umana di quattro fonti tradizionali: Corano e Sunna (le principali) e Qiya e Ijma. Nel corso dei secoli, gli studiosi islamici, attraverso ragionamenti e studi stratificati, hanno prodotto una giurisprudenza islamica in linea con la sharia, il fiqh, che subisce variazioni a seconda della sua interpretazione. Questa giurisprudenza è stata in gran parte elaborata attraverso opinioni legali (fatwa) emesse da giuristi qualificati (mufti).
In Afghanistan, dunque, così come in altri luoghi, la sharia è «la principale fonte della legislazione», la quale, non essendo considerata un corpus di diritto positivo e non potendo essere trascritta in un codice di condotta ben definito, è soggetta ad interpretazioni più o meno integraliste.
La Costituzione afghana (2004) dal canto suo, è il frutto di una mediazione tra religione e principi costituzionali e, oltre a numerose questioni teoriche, pone diversi problemi relativi alla sua attuazione.
Essa nasce a seguito dell’invasione americana e si sviluppa sotto l’egida delle Nazioni Unite, con il fine di promuovere una vasta gamma di diritti umani; tuttavia, la volontà inequivocabile del popolo afghano di rinvenire al suo interno taluni precetti islamici, la espone inevitabilmente a derive integraliste.
In seno alla Costituzione afghana, sono numerose le disposizioni della che proclamano l’uguaglianza di genere e la volontà di adottare leggi con lo scopo di migliorare la situazione delle donne.
Al diritto all’istruzione, in particolare, è indirizzata una norma, l’art. 44 che recita: “Lo Stato definisce e promuove programmi per uniformare e incentivare l’istruzione delle donne, migliorando anche l’istruzione delle popolazioni nomadi al fine di eliminare l’analfabetismo su tutto il territorio” La disposizione, nel promuovere un accesso indiscriminato all’istruzione, si conforma agli standard internazionali di tutela dei diritti umani.
Tuttavia, con l’affermazione dei talebani, sono emersi molteplici interrogativi sulla possibilità di salvaguardare le conquiste in materia di diritti umani degli ultimi vent’anni e, alcune organizzazioni quali Amnesty International, la Federazione internazionale per i diritti umani (FIDH – Fédération Internationale pour les Droits Humains) e l’Organizzazione mondiale contro la tortura (OMCT) hanno individuato e denunciato alcune avvenute violazioni all’interno di un briefing congiunto- Afghanistan’s fall into the hands of the Taliban.
Un aspetto che ha originato dibattito è sicuramente il ruolo delle donne e, più nello specifico, in che modo peserà il dominio dei talebani sull’educazione femminile.
La loro rinnovata ascesa al potere potrebbe portare con sé una versione intransigente del diritto islamico, e ricondurre le donne ad una disciplina di severe restrizioni sociali, in nome dell’Islam radicale. In passato, infatti, sotto il regime dei talebani, esse non furono solo escluse dalla sfera pubblica, ma non conservarono autonomia in nessun settore, rischiando punizioni severe per ogni scostamento dalle regole stabilite.
Tale situazione politica, pertanto, rischia di esacerbare le problematiche già esistenti nel Paese e rallentare i progressi raggiunti in diversi ambiti, compreso quello formativo.
In realtà l’Afghanistan, nonostante i principali indicatori di sviluppo lo posizionino più in basso rispetto agli altri paesi della regione mediorientale, ha dimostrato un avanzamento rapido nel campo educativo. Secondo quanto indicato dal report dell’Unesco – Il diritto all’educazione: qual è la posta in gioco in Afghanistan? – tra il 2001 ed il 2018 vi sono stati cambiamenti considerevoli, tra i quali risalta l’incremento esponenziale del numero degli studenti nelle scuole e la crescita del tasso di alfabetizzazione delle donne.
Il timore di vedere questi sforzi vanificarsi scaturisce dalle recenti dichiarazioni rilasciate dal governo talebano, simili a quelle rilasciate l’ultima volta che si ritrovarono alla guida del paese, ed il cui contenuto limita apertamente i movimenti delle donne.
Secondo quanto rilevato dal sopracitato report dell’Unesco, grande ostacolo all’istruzione femminile rimangono i matrimoni precoci, i quali conducono certamente all’abbandono scolastico e a un aumento della violenza e dello sfruttamento di minorenni.
Non vi sono ancora indicazioni chiare su come i talebani abbiano intenzione di regolare l’accesso delle ragazze all’istruzione secondaria. Nell’ultima ordinanza governativa, infatti, è stato stabilito il ritorno in classe dei docenti e degli studenti maschi, senza alcun tipo di riferimento verso le donne.
Le affermazioni vaghe e contradditorie delle autorità hanno suscitato perciò la preoccupazione della comunità internazionale, la quale si è apertamente schierata a favore delle donne.
L’Unesco si è rivolta alla stessa reclamando uno sforzo per l’accesso delle ragazze e delle bambine a un’istruzione di qualità, non solo in quanto loro diritto, ma anche come opportunità di sviluppo e di competenze per la prosperità del Paese.
Anche l’Unione Europea non è rimasta indifferente, e, per questo motivo, lo scorso 18 agosto, il Consiglio dell’Unione ha pubblicato una dichiarazione congiunta, sottoscritta da tutti i paesi occidentali, nella quale invita coloro che ricoprono posizioni di potere in Afghanistan a non perdere di vista i diritti delle donne, sollecitandone la tutela e la protezione. Ciò nonostante, è difficile credere che il governo al potere questa volta sia disposto a cambiare le sue opinioni intransigenti e repressive di genere, in nome di un regime riformato e meno repressivo. Piuttosto, il comportamento dei combattenti talebani sul campo di battaglia e le azioni della loro leadership nei colloqui di pace, sembrano il risultato di una strategia creata appositamente per richiamare l’attenzione dei media nazionali e internazionali e favorire il sostegno popolare per la presa definitiva di potere.
È di importanza cruciale riconoscere il ruolo delle donne non solo nel processo decisionale, ma anche in un potenziale accordo di pace, poiché qualsiasi intesa che non sia sensibile al genere è destinata a fallire.
L’eventuale divieto per le ragazze afghane di accedere all’istruzione comporterebbe non solo una violazione dei diritti ampiamente legittimati dal sistema convenzionale di tutela dei diritti umani, in tutte le declinazioni, non ultima quella del diritto allo studio, di accesso alla cultura e di non discriminazione, ma anche la perdita di un’occasione di crescita futura della comunità afghana.
Viriana Rosato
Studentessa del Master in Tutela internazionale dei diritti umani “Maria Rita Saulle”
Link utili
Vercellin Giorgio, La religione nell’evoluzione dello Stato afghano, in Stato islamico: teoria e prassi nel mondo contemporaneo, Milano, 2005.
Nadjma Yassari, The Shari’a in the Constitutions of Afghanistan, Iran, and Egypt: implications for private law. Tubingen, Mohr Siebeck, 2005 (261. I. 12 )
Amnesty International, The fate of thousand hanging in the balance: Afghanistan’s fall into the hands of the Taliban https://www.amnesty.org/ar/wp-content/uploads/2021/09/ASA1147272021ENGLISH.pdf
UNESCO, The right to education: what’s at stake in Afghanistan? A 20-year review https://unesdoc.unesco.org/ark:/48223/pf0000378911