La sentenza Romeo Castaño c. Belgio della Corte europea dei diritti dell’uomo: prove di simmetria tra corti in materia di mandato d’arresto europeo

AFFAIRE ROMEO CASTAÑO c. BELGIQUE

Approfondimento n. 33/2019                                                                                                                                                                                                                                                                       

Con la sentenza Romeo Castaño c. Belgio, resa il 9 luglio 2019 (ricorso n. 8351/17), la seconda Sezione della Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato il Belgio per non aver cooperato con le autorità spagnole nel garantire la consegna di un individuo su cui pendevano molteplici mandati d’arresto europei in connessione con gravi accuse di terrorismo e omicidio, riconoscendo la violazione del volet procedurale dell’articolo 2 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU). La pronuncia rappresenta un tassello importante nella giurisprudenza della Corte – almeno – per due ragioni: non soltanto essa costituisce la prima condanna di uno Stato in ragione del rifiuto opposto alla consegna di un individuo nei confronti del quale era stato spiccato un mandato d’arresto europeo (o una richiesta di estradizione), ma in tale sentenza il Giudice di Strasburgo dimostra un atteggiamento di evidente apertura, in chiave sinergica, nei confronti della recente giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea in materia di mandato d’arresto.

Il caso era stato portato all’attenzione della Corte di Strasburgo dai figli del colonnello Ramón Romeo, ucciso a Bilbao nel 1981 da un attentato terroristico perpetrato dall’ETA. I ricorrenti lamentavano, nello specifico, la condotta delle autorità belghe, che si erano reiteratamente rifiutate di eseguire i mandati d’arresto spiccati dai tribunali spagnoli nei confronti di N.J.E., principale sospettato dell’uccisione del Colonnello, in ragione del fatto che il ricercato, una volta consegnato alle autorità spagnole, avrebbe potuto essere assoggettato a un regime di detenzione in incommunicado (ossia senza contatti con l’esterno), e pertanto sottoposto a un rischio reale di essere sottoposto a un trattamento contrario all’articolo 3 CEDU (divieto di tortura o trattamenti inumani o degradanti).

Nella pronuncia, la Corte sanziona la condotta delle autorità belghe, rilevando, in particolare, come il rifiuto di eseguire i mandati d’arresto non si fondasse su un esame suffficientemente completo e accurato delle condizoni penitenziarie dello Stato di destinazione, e pertanto su una base fattuale solida: tale decisione era stata fondata esclusivamente sul contenuto di due rapporti resi da organismi internazionali (Comitato europeo per la prevenzione della tortura e il Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite), senza alcuna valutazione individualizzata del rischio concreto relativo al caso specifico. Le autorità belghe, facendo uso degli strumenti messi a disposizione dalla decisione-quadro dell’Unione europea sul mandato d’arresto europeo (2002/584/GAI), e dalla legislazione belga di recepimento della stessa, avrebbero invece ben potuto chiedere a quelle spagnole informazioni addizionali in merito alle condizioni detentive a cui sarebbe andato incontro il ricercato una volta consegnato alla Spagna. 

Appare, inoltre, interessante come l’evoluzione nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo sembri rappresentare il frutto di un dialogo a distanza con la Corte di giustizia dell’Unione europea. In Romeo Castaño, la Corte europea dei diritti dell’uomo avalla i principi che si sono gradualmente consolidati nella giurisprudenza del Giudice di Lussemburgo in materia di mandato d’arresto europeo, a partire dalla nota sentenza Aranyosi et Căldăraru (cause C-404/15 e C-659/15 PPU), da ultimo richiamati, e ulteriormente precisati, in Generalstaatsanwaltschaft (Conditions de détention en Hongrie) (C-220/18 PPU). 

D’altro canto, con la sentenza Romeo Castañoil mosaico si arricchisce di elementi propri del sistema di tutela convenzionale. In particolare, la Corte sviluppa le sue argomentazioni intorno all’obbligo di cooperazione effettiva che sussiste tra gli Stati parti della CEDU, in particolar modo al fine di tutelare il diritto alla vita consacrato dall’articolo 2. Nonostante, infatti, l’omicidio del colonnello Ramón Romeo non fosse avvenuto in territorio belga, e sul Belgio non gravasse inoltre alcun obbligo di investigare in merito, la Corte ha nondimeno riconosciuto un lien juridictionnel tra i ricorrenti e il Belgio, fondato sull’attivazione, da parte della Spagna, del meccanismo di cooperazione giudiziaria ai sensi della decisione-quadro sul mandato d’arresto europeo.

In sintesi, la sentenza Romeo Castañosi pone come un ulteriore passo verso la costruzione di uno spazio giudiziario europeo integrato ed effettivo, che tenga conto non soltanto dei diritti della persona colpita da un mandato d’arresto europeo, e nella direzione di una graduale convergenza tra gli standard di tutela previsti dalla CEDU e dal diritto dell’Unione europea.

Gabriele Asta

Assegnista di ricerca in Diritto internazionale 

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