La saga Bemba Gombo: una svolta storica nella lotta al crimine della violenza sessuale contro le donne

The Prosecutor v. Jean-Pierre Bemba Gombo

Approfondimento 14/2019                                                                                                                                                                                                                                                                           

Le vicende comunemente conosciute sotto l’espressione di “saga Bemba” hanno origine nel dicembre del 2004, quando il governo della Repubblica centroafricana forniva al Procuratore della Corte penale internazionale un fascicolo di documenti attestanti le numerose azioni criminose che ebbero luogo nel Paese pochi anni prima. A partire dal luglio 2002, infatti, la Repubblica ha vissuto un’intensa fase di guerra civile, scatenatasi all’indomani della rivolta guidata dal generale Bozizè contro il governo in carica. Quattro anni dopo, il Procuratore informava il medesimo governo del mandato di arresto pendente su Jean-Pierre Bemba Gombo, per i crimini compiuti dal Movimento di liberazione del Congo ed il relativo braccio armato, l’Esercito di liberazione del Congo, di cui egli era rispettivamente leader politico e comandante. Arrestato in Belgio e condotto sotto la custodia della Corte, nel marzo 2016 la terza Trial Chamber emetteva una sentenza definita da molti commentatori di portata storica. 

Essa, infatti, ha condannato per la prima volta un imputato, tra gli altri, per il crimine di violenza sessuale. Nella sentenza i giudici ricostruiscono in maniera dettagliata ed esaustiva il contenuto e la definizione del crimine di “rape”, facendo ampio riferimento alla giurisprudenza dei due tribunali penali ad hoc delle Nazioni Unite. A rendere ancora più interessante il caso, la Corte ha stabilito che, benchè le azioni condannate rientrino nella medesima fattispecie materiale, esse costituiscono allo stesso tempo un crimine di guerra e un crimine contro l’umanità, dei quali il signor Bemba è tenuto a rispondere cumulativamente.

Alla luce della disamina dei fatti, supportati da numerosi testimoni, e tenendo conto anche dei saccheggi e delle uccisioni di civili non partecipanti alla guerriglia, la Corte condannava il signor Bemba alla reclusione per 18 anni, non solo in quanto direttamente responsabile delle condotte criminose, ma anche in qualità di comandante delle milizie armate, per non aver utilizzato ogni mezzo a sua disposizione per prevenire, limitare e investigare sulle condotte violente dei suoi sottoposti. Il grande entusiasmo destato da questa storica sentenza ha, tuttavia, lasciato presto il passo ad un certo disappunto con cui è stata accolta la pronuncia di appello della Corte. Emessa l’8 giugno 2018, essa ha sostanzialmente capovolto il giudizio di primo grado, sulla base di tre principali argomentazioni.

Innanzitutto, la Camera d’appello ha dichiarato che i crimini oggetto della prima sentenza non rispondono ai fatti, ancorché penalmente rilevanti, richiamati dall’accusa, a termini dell’articolo 74, comma due dello Statuto. Nello specifico, la Sezione d’appello ha ritenuto che i fatti menzionati a sostegno della condanna sono assurti a circostanze materiali, nonostante essi avessero esclusivamente la qualifica di “subsidiary facts” o, al più, semplici evidenze. I giudici della Sezione d’appello, poi, hanno sostenuto che nel giudizio di primo grado si sia commesso un errore di valutazione nell’attribuire le condotte criminose delle milizie armate al signor Bemba. Essi hanno ritenuto che le sue capacità di intervento sull’esercito non fossero illimitate e che, in ogni caso, egli avesse fatto uso di tutte le misure ragionevoli e necessarie per scoraggiare le violenze poi perpetrate.

In ultimo, la Sezione d’appello ha eccepito che la Trial Chamber non abbia proceduto a valutare alcune azioni compiute dal signor Bemba, volte a limitare il perdurare della commissione di ulteriori crimini. A tal proposito, non si sarebbe tenuto in debito conto il tentativo di riorganizzare le truppe sotto il suo controllo in modo da evitare ogni contatto con la popolazione civile non direttamente coinvolta nel conflitto armato e la richiesta di investigazioni da egli avanzata nell’immediato dopo-guerra. Sulla scorta di tali ragioni, la Corte ha provveduto ad assolvere il signor Bemba e a stabilirne l’immediata scarcerazione. A (ancora parziale) completamento della saga Bemba, il convenuto ha recentemente depositato presso la Corte una richiesta di compensazione per i danni subiti e, in particolare, per la sua protratta detenzione priva, a detta della difesa, di giustificata ragione. La seconda Pre-Trial Chamber, pertanto, lo scorso 14 marzo ha emesso un ordine con cui ha avviato le necessarie procedure. Nello specifico, ha convocato per il 9 maggio 2019 un’udienza della durata di un’ora e trenta minuti in cui le parti in causa possano esprimere le proprie osservazioni ed ha parzialmente esteso, a richiesta del Procuratore, il limite temporale per l’invio delle memorie scritte. 

Al netto delle future decisioni che i giudici saranno chiamata ad adottare sul caso, rileva sottolineare che entrambe le sentenze rese, in primo e secondo grado, rappresentano il punto di svolta ad oggi più significativo nella recente giurisprudenza della Corte. In nessuna altra circostanza, infatti, i giudici della Corte penale internazionale hanno avuto l’occasione di esprimersi in maniera così approfondita su due aspetti salienti del mandato attribuito dallo Statuto. Essi hanno, cioè, contribuito a chiarire tanto la portata della responsabilità individuale del convenuto per azioni commesse da soggetti che agiscono sotto la sua (parziale) direzione e controllo, sia il contenuto del crimine della violenza sessuale e la sua qualificazione quale crimine di guerra e crimine contro l’umanità.

Giovanni Ardito

Dottorando di ricerca in Diritti pubblico, comparato e internazionale

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