La Risoluzione 2593 sulla crisi umanitaria in Afghanistan e le tensioni all’interno del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite

Approfondimento n. 7/2021                                                            

Il 30 agosto 2021, il Consiglio di Sicurezza ha adottato la risoluzione 2593 sull’attuale situazione di crisi in Afghanistan a seguito del ritorno al potere dei talebani. Il documento, fra le altre cose, condanna gli attacchi terroristici del 26 agosto scorso nei pressi dell’aeroporto di Kabul ed esorta la comunità internazionale ad offrire assistenza umanitaria nel paese e negli altri stati che ospitano i rifugiati. Per comprendere come il Consiglio di Sicurezza sia giunto a tale decisione, si ritiene necessario fornire una breve introduzione storica, risalendo all’inizio del 2020. 

Il 29 febbraio 2020, a Doha, in Qatar, è stato firmato l’“Accordo per portare la pace in Afghanistan” – Agreement for Bringing Peace to Afghanistan, detto anche “Accordo di Doha” – dallo statunitense Zalmay Mamozy Khalilzad, nominato nel 2018 Rappresentante speciale per la riconciliazione dell’Afghanistan e tuttora in servizio sotto l’amministrazione Biden, e Abdul Ghani Baradar, uno tra i co-fondatori dell’organizzazione dei talebani. L’accordo prevedeva il ritiro delle truppe statunitensi e degli alleati, nonché di tutte le forze NATO, dal territorio afghano entro 14 mesi dall’entrata in vigore dello stesso – quindi, entro il 1° maggio 2021. In cambio, i talebani, da un lato, avrebbero scongiurato qualsiasi tentativo di impiego del suolo afghano, da parte di gruppi o individui, incluso Al Qaeda, per fini terroristici a danno degli Stati Uniti e dei suoi alleati; dall’altro lato, si sarebbero impegnati per la ricostituzione del governo islamico afghano, avviando una cooperazione economica pacifica con l’Occidente.  Con l’arrivo di Biden alla Casa Bianca, la scadenza per il ritiro delle truppe è stata successivamente posticipata all’11 settembre, al fine di far coincidere simbolicamente la fine della guerra in Afghanistan con il ventesimo anniversario dell’attentato alle Torri Gemelle, e poi nuovamente anticipata al 31 agosto.  

Contestualmente al ritiro delle truppe occidentali e in aperta violazione degli accordi di pace del 2020, ha avuto graduale inizio l’offensiva talebana, culminata con la presa di Kabul il 15 agosto e la conseguente dissoluzione della Repubblica Islamica dell’Afghanistan. A seguito della caduta delle principali capitali provinciali e la definitiva riconquista del paese, il gruppo estremista ha annunciato  un governo provvisorio con a capo Mohammad Hasan Akhund, leader talebano attualmente nella lista dei terroristi internazionali dell’ONU, e Abdul Ghani Baradar come suo vice. 

La reazione del Consiglio di Sicurezza è stata repentina: il giorno successivo alla caduta della capitale, l’organo delle Nazioni Unite, con un comunicato stampa, ha espresso profonda preoccupazione per i numerosi casi di violazione dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario, oltre ad una richiesta di cessate il fuoco immediato e fine delle ostilità, con il conseguente ripristino dell’ordine costituzionale. 

Nei giorni seguenti all’ascesa – o meglio, ritorno – al potere dei talebani, altri rappresentanti delle maggiori organizzazioni internazionali hanno espresso le loro preoccupazioni: tra gli altri, Josep Borrell, Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, che ha menzionato la possibilità di dialogo con gli estremisti afghani condizionata al rispetto dei diritti umani fondamentali, specialmente quelli delle donne. 

La direttrice del Programma alimentare mondiale in Afghanistan Mary-Ellen McGroarty ha affermato che sono 14 milioni gli afghani che attualmente soffrono la fame, e si stima che questo numero sia destinato a salire incessantemente prima dell’inizio dell’inverno. Quasi 600 mila, invece, sono gli afghani che sono stati costretti a fuggire all’interno del paese a causa del conflitto – i cosiddetti internally displaced persons – inclusi i 126 mila “nuovi” sfollati interni tra il 7 luglio e il 9 agosto 2021. L’UNHCR, in una posizione pubblicata ad agosto 2021, si dice preoccupata per questa situazione e ha invitato tutti gli stati a garantire l’accesso al loro territorio agli afghani in fuga dal paese e a rispettare il principio di non-refoulement, esortando alla sospensione dei rimpatri forzati dei cittadini e delle cittadine afghani fino a quando la situazione nel paese non si sarà stabilizzata. 

Ad aggravare la situazione del paese si aggiunge l’assenza di un sistema bancario funzionante: per un paese dipendente dagli aiuti esteri, il congelamento di 460 milioni di dollari di finanziamenti urgenti da parte del Fondo monetario internazionale e la sospensione degli aiuti, con il blocco di 9 miliardi di dollari di riserve della Banca centrale afghana da parte di Washington, hanno ulteriormente esacerbato uno scenario già in partenza critico. 

Da ultimo, il 26 agosto un attacco kamikaze appena fuori dall’aeroporto internazionale di Kabul ha provocato la morte di circa 300 persone, tra cui 13 soldati statunitensi. L’attacco suicida è stato successivamente rivendicato dall’Isis-Khorasan, gruppo terroristico affiliato allo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante. Tale evento ha portato alla ad un nuovo comunicato del Consiglio di Sicurezza del 27 agosto che ha condannato l’attacco in quanto evidente violazione del diritto internazionale umanitario, con particolare riguardo alla protezione dei civili. 

Il 6 settembre 2021 i talebani hanno annunciato per la seconda volta di aver sconfitto le forze di opposizione nella valle del Panshir, l’unica regione del paese che non era caduta dinanzi alla loro repentina ascesa, dichiarando di aver completato la conquista dell’Afghanistan. 

Alla luce di tale situazione e delle efferatezze commesse dai talebani, numerosi leader internazionali hanno fatto pressione sul presidente USA Biden affinché decidesse di posticipare la data per la conclusione del ritiro delle truppe. L’opzione è stata bocciata in seguito alle minacce da parte del gruppo estremista nel caso di prolungata presenza militare straniera sul territorio afghano. 

È in questo contesto che il 30 agosto, dopo diverse riunioni di emergenza, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione 2593 sui recenti sviluppi in Afghanistan con 13 voti a favore e le – prevedibili – astensioni di Russia e Cina. 

Il contenuto dell’atto– che riprende quasi pedissequamente quello del comunicato stampa del 16 agosto – ha carattere raccomandatorio ed è riassumibile nei seguenti punti:

  • Condanna degli attacchi kamikaze del 26 agosto presso l’aeroporto di Kabul;
  • Appello a combattere il terrorismo sul suolo afghano e a che quest’ultimo non venga utilizzato per minacciare o attaccare altri paesi o per addestrare terroristi o pianificare o finanziare attacchi terroristici; 
  • Invito a tutte le parti coinvolte nel conflitto al rispetto dei diritti umani, soprattutto quelli delle donne, dei bambini e delle minoranze, e del diritto internazionale umanitario, con particolare riferimento alla protezione dei civili in quanto non prendono parte alle ostilità;
  • Appello a rafforzare l’assistenza umanitaria e a garantire un accesso sicuro alle forze dell’ONU e alle sue agenzie, nonché agli altri attori impegnati in attività di soccorso umanitario;
  • Presa d’atto di quanto dichiarato dai talebani in data 27 agosto, circa il loro impegno nel garantire a tutti gli afghani che lo desiderano di viaggiare all’estero e dunque di poter lasciare il paese in qualsiasi momento, sia via terra che via aerea. 

La pronuncia del Consiglio di Sicurezza giunge quindi dopo due settimane dall’ascesa al potere dei talebani ed è successiva ad una serie di misure e dichiarazioni adottate da altri organismi internazionali, tra cui, ad esempio, l’Alto Commissario per i diritti umani Michelle Bachelet e il Consiglio dei diritti umani. Quest’ultimo, riunitosi il 24 agosto, ha adottato una risoluzione che evidenzia la necessità di indagare sulle violazioni dei diritti umani commesse dai talebani ed esorta ad un immediato cessate il fuoco.

Si ritiene che l’aspetto più rilevante di tale risoluzione sia proprio la presa d’atto da parte del Consiglio delle dichiarazioni dei talebani, e soprattutto la pretesa dello stesso a che il gruppo estremista rispetti l’impegno di facilitare un passaggio sicuro per gli afghani e i cittadini stranieri che desiderano lasciare l’Afghanistan. 

Quest’ultimo aspetto è stato ulteriormente ribadito dal rappresentante del Governo degli Stati Uniti e da quello del Regno Unito, i quali hanno evidenziato come tale risoluzione dimostri quanto seriamente il Consiglio di Sicurezza consideri le dichiarazioni dei talebani. La continua richiesta di rispetto degli impegni da parte dei talebani, che poggia sulle affermazioni di un noto gruppo estremista e sembra prescindere dalla storia recente che lo coinvolge, risulta poco realistica.

I rappresentanti dei Paesi occidentali hanno anche sottolineato quanto, soprattutto in questo momento di forte crisi umanitaria, l’intera comunità internazionale debba dimostrarsi unita e risoluta: auspicio, tuttavia, che sembra cadere nel vuoto, come dimostrano le astensioni di Cina e Russia. Gli interessi geopolitici che spingono questi paesi ad intensificare la loro presenza in Afghanistan, mantenendo le loro rappresentanze diplomatiche, e a dialogare con i talebani sono molteplici. La Cina, in particolare, parrebbe interessata  alla presenza di ricchi giacimenti di litio e di minerali non sfruttati, oltre a voler evitare che il territorio afghano venga impiegato come base logistica per i separatisti e i jihadisti uiguri.

A giustificazione dell’astensione russa, invece, vi sarebbe la mancata considerazione, da parte degli altri stati del Consiglio, delle preoccupazioni della medesima delegazione in merito al congelamento dei capitali e al rischio di minaccia terroristica. Inoltre, i rappresentanti della Federazione russa avrebbero visto nella risoluzione la volontà di far ricadere la responsabilità dei vent’anni di fallimenti sui talebani, distraendola dagli stati che hanno occupato il territorio così a lungo, primi fra tutti gli Stati Uniti. Quest’ultima considerazione è stata condivisa anche dalla delegazione cinese, la quale ha anche fatto presente l’importanza vitale di una collaborazione con i talebani per raggiungere un certo livello di stabilità mondiale. 

In conclusione, ciò che risulta da questa risoluzione è uno scenario internazionale ancora profondamente diviso dinanzi a crisi umanitarie che non si prestano ad alcun tipo di frammentazione ed astensione. La gravità di tali contesti richiederebbe una reazione immediata e comune da parte di tutti gli attori internazionali alla luce delle numerose violazioni dei diritti umani e delle norme del diritto internazionale umanitario. La decisione poco incisiva adottata dalle Nazioni Unite potrebbe celare la volontà di temporeggiare al fine di comprendere la successiva evoluzione degli eventi, prima ancora di implementare misure drastiche o imporre sanzioni. Resta fermo che la storia degli ultimi vent’anni non possa essere dimenticata e che anzi possa gettare luce sui recenti avvenimenti e fare da “guida” agli attori internazionali circa le soluzioni da poter adottare e gli errori da non ripetere.

L’auspicio di chi presenta questo intervento è quello di un maggiore impegno delle Nazioni Unite attraverso gli strumenti di cui questa dispone al fine di porre fine alle violazioni del diritto internazionale, in particolare dei diritti umani, che già sono state perpetrate e che rischiano di non trovare fine. Come è già avvenuto in altre situazioni, il ruolo delle Nazioni Unite in tali contesti assume un ruolo fondamentale al fine di garantire il rispetto della pace e la sicurezza internazionale. A questo fine, tra l’altro, risultano indispensabili l’instaurazione di un corridoio che consenta l’ingresso di aiuti umanitari e la presenza stabile dell’Organizzazione con la missione UNAMA (United Nations Assistance Mission in Afghanistan), l’operazione politica speciale delle Nazioni Unite istituita per assistere lo stato e il popolo dell’Afghanistan nel porre le basi per una pace e uno sviluppo sostenibili che, si augura, dovrebbe essere rinnovata per un altro anno.

Marianna Barberini

Studentessa del Master in Tutela internazionale dei diritti umani “Maria Rita Saulle”

Link e contributi utili: 

Risoluzione del Consiglio di Sicurezza n. 2593, 30 agosto 2021: https://undocs.org/en/S/RES/2593(2021).

Comunicato stampa del Consiglio di Sicurezza, 16 agosto 2021: https://www.un.org/press/en/2021/sc14604.doc.htm.

Comunicato stampa del Consiglio di Sicurezza, 27 agosto 2021: https://www.un.org/press/en/2021/sc14615.doc.htm.

Guiding Principles on Internal Displacementhttps://www.ohchr.org/EN/Issues/IDPersons/Pages/Standards.aspx

OCHA, Afghanistan: Conflict Induced Displacements, consultato il 6 settembre 2021: https://www.humanitarianresponse.info/en/operations/afghanistan/idps

UN High Commissioner for Refugees (UNHCR), UNHCR Position on Returns to Afghanistan, Agosto 2021: https://www.refworld.org/docid/611a4c5c4.html

Sicurezza Internazionale, Osservatorio sulla Sicurezza Internazionale, Università Luiss Guido Carli, https://sicurezzainternazionale.luiss.it/2021/09/06/afghanistan-talebani-dichiarano-vittoria-nel-panjshir/.

Sicurezza Internazionale, Osservatorio sulla Sicurezza Internazionale, Università Luiss Guido Carli, 

https://sicurezzainternazionale.luiss.it/2021/09/07/afghanistan-nomi-chiave-del-governo-provvisorio-dei-talebani/.

Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI), https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/afghanistan-i-quattro-motivi-cui-la-cina-dialoga-con-i-talebani-31302.

Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, UN Human Rights Chief urges action to prevent calamitous consequences for the people of Afghanistanhttps://www.ohchr.org/EN/NewsEvents/Pages/DisplayNews.aspx?NewsID=27370&LangID=E.

Consiglio dei diritti umani, Risoluzione S-31/1 del 24 agosto 2021, Strengthening the promotion and protection of human rights in Afghanistanhttps://undocs.org/A/HRC/RES/S-31/1.