Il rapporto tra povertà e cambiamento climatico: quale ruolo per i diritti umani?

Report of the Special Rapporteur on extreme poverty and human rights on “Climate change and poverty”

Approfondimento n. 30/2019                                                                                                                                                                                                                                                                          

Lo scorso 25 giugno, in occasione della quarantunesima sessione del Consiglio per i diritti umani, lo Special Rapporteur on extreme poverty and human rights Philip Alston ha presentato il suo rapporto sulla relazione tra cambiamenti climatici e povertà.

Articolato in tre macro-aree, esso affronta la tematica del cambiamento climatico sia sotto la prospettiva scientifica del fenomeno, sia delle sfide che esso pone alla tutela dei diritti umani. In riferimento a quest’ultimo profilo, Alston propone un’analisi che prende le mosse da un dato recentemente diffuso dalla Banca mondiale, secondo cui entro il 2080 vi sarà un calo del 30% dei raccolti agricoli, con evidenti conseguenze in termini di accesso al cibo delle popolazioni maggiormente esposte al fenomeno. Nello specifico, entro il 2050 si stima che oltre 140 milioni di persone, localizzate tra l’Africa sub-Sahariana, il Sud Est asiatico e l’America latina, vedranno aggiungersi all’endemico problema della povertà quello della diffusione di malattie ritenute sconfitte, la distruzione di case e beni privati ed il ripetersi di fenomeni climatici estremi, come alluvioni e smottamenti.  

Lo Special Rapporteursottolinea, poi, che il Consiglio per diritti umani non è rimasto del tutto insensibile al tema del cambiamento climatico. A partire dal 2008, in fatti, si sono moltiplicate le risoluzioni e le procedure speciali che hanno consentito di analizzare da vicino le implicazioni, in termini di godimento dei diritti umani, del cambiamento climatico, anche con una prospettiva gender-oriented. Ciononostante, egli segnala che le risoluzioni del Consiglio si siano caratterizzate per un focus sulla gestione delle conseguenze negative del cambiamento climatico su particolari gruppi di individui, piuttosto che sulla minaccia al godimento di tutti i diritti umani da parte di un ampio numero di persone. 

Passando in rassegna il contributo dei principali treaty bodies, Alston sottolinea con soddisfazione la posizione assunta dal Comitato sui diritti economici, sociali e culturali lo scorso anno, quando ha affermato che “failure to prevent foreseeable human rights harm caused by climate change, or a failure to mobilize the maximum available resources in an effort to do so, could constitute a breach of its legal obligations”.

Quanto ai sistemi giurisdizionali a carattere regionale, laddove la Corte europea dei diritti umani non ha direttamente analizzato la questione, la Corte interamericana ha ribadito la propria attenzione per il cambiamento climatico, ricordando recentemente che è compito degli Stati “regulate, supervise and monitor the activities under their jurisdiction that could cause significant damage to the environment; carry out environmental impact assessments …; prepare contingency plans …, and mitigate any significant environmental damage […]”.

Nelle sezioni in cui lo Special Rapporteur evidenzia la necessità di sostanziali cambiamenti economici, sociali e culturali per mitigare le conseguenze del cambiamento climatico, è di particolare interesse lo studio, richiamato nel Rapporto, dell’Organizzazione internazionale del lavoro che, contrariamente alla narrazione sostenuta da attori privati e statali che vede nell’utilizzo delle risorse rinnovabili un rischio per la tenuta dell’economia mondiale, ha stimato la creazione di numerosi posti di lavoro nell’ambito della cosiddetta green economy.  

La complessità della sfida rappresentata dal cambiamento climatico rende le risposte al fenomeno certamente articolate. In primo luogo, suggerisce Alston, è necessario porre il tema all’attenzione dei principali consessi che si occupano di tutela dei diritti umani, a partire dal Consiglio per i diritti umani. Ciascun human rights bodydovrebbe poi favorire un dialogo interno e tra esperti, richiedere la redazione di rapporti e utilizzare ogni altro strumento a sua disposizione per identificare soluzioni plausibili e durature, che contemplino, quale punto d’arrivo, anche la rilettura o l’adozione di commenti o raccomandazioni generali. Agli Stati è, invece, prioritariamente richiesto di porre la questione dei diritti economici e sociali al centro della propria agenda, al fine di evitare che le già ampie sacche di povertà siano ulteriormente vessate dagli effetti potenzialmente devastanti dei cambiamenti climatici.
Infine, la società civile è chiamata a partecipare attivamente al complesso dibattito, facendo uso di tutti gli strumenti a propria disposizione, all’interno ed all’esterno dei meccanismi istituzionali.

Giovanni Ardito

Dottorando in Ordine internazionale e diritti umani

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