Il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite condanna i roghi del Corano riaffermando la necessità di contrastare l’odio religioso

Approfondimento n. 9/2023                                                            

Tra il 19 giugno ed il 14 luglio 2023 il Consiglio dei diritti umani ha adottato un’interessante risoluzione sugli atti che costituiscono una forma di odio e di incitamento alle discriminazioni, alla violenza e all’ostilità su base religiosa, la n. A/HRC/RES/53/1 (adottata con 28 voti favorevoli, 12 contrari e 7 astensioni). Essa è stata adottata nell’ambito di un dibattito urgente richiesto dal Pakistan in nome dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica (OIC) prima dell’inizio dei lavori.    

Come le sessioni speciali, anche i dibattiti urgenti possono essere instaurati su richiesta di uno Stato membro del Consiglio. La procedura prevede che lo Stato interessato invii una lettera al Presidente del Consiglio dei diritti umani, al fine di modificare l’agenda dei lavori così da includervi una questione che, secondo lo Stato richiedente, merita di essere affrontata con urgenza dallo stesso Consiglio. Si tratta di una prassi ormai consolidata, originatasi in occasione della settima sessione del Consiglio dei diritti umani, quando fu richiesto di affrontare la situazione allora presente a Gaza (marzo 2008).                                                                                                                                                                  

Nel caso di specie l’OIC ha denunciato numerosi episodi accaduti recentemente in Svezia in cui, nel corso di manifestazioni pubbliche, sono state date alle fiamme alcune copie del Corano. L’ultimo di questi episodi ha coinvolto un rifugiato cristiano iracheno in un giorno simbolico per i mussulmani, la festa di Eid al-Adha, in cui i mussulmani celebrano il sacrificio di un montone, al posto del figlio Isacco, compiuto da Abramo dopo essere stato fermato da un angelo di Dio.

A seguito di questo episodio a Baghdad sono esplose varie proteste da parte della popolazione irachena mussulmana. Non a caso, a richiedere un dibattito urgente sull’argomento sono stati lo Stato di Palestina e il Pakistan (quest’ultimo anche a nome anche degli Stati Membri dell’ONU che fanno parte dell’Organizzazione della Cooperazione islamica), entrambi Paesi la cui popolazione è prevalentemente mussulmana. 

Sotto il profilo sostanziale, la risoluzione innanzitutto condanna questi atti di profanazione di un testo sacro, qual è il Corano per i mussulmani. Il documento, inoltre, richiama gli Stati al loro dovere di configurare un regime giuridico idoneo a prevenire e reprimere ogni manifestazione di comportamenti costituenti incitamento alla discriminazione, ostilità e violenza, chiamando i responsabili degli episodi verificatisi a rispondere delle loro azioni (punti n. 1 e 2 della risoluzione).                                                                                                                                                        

 In secondo luogo, la risoluzione esorta l’Alto Commissario per i Diritti Umani ad esprimersi pubblicamente contro ogni manifestazione di odio religioso, inclusi gli atti di profanazione dei libri sacri, anche tramite l’adozione di raccomandazioni su questo fenomeno (punto n. 3). In virtù di ciò, l’Alto Commissario per i Diritti Umani è tenuto a presentare un aggiornamento per la cinquantaquattresima sessione sulle cause e l’impatto che hanno questi atti di odio religioso sulla tutela dei diritti umani, ponendo l’accento sulle lacune a livello normativo e politico (punto n. 4). All’Ufficio dell’Alto Commissario per i Diritti Umani, invece, è richiesto di presentare un report sulle deliberazioni della panel discussion al Consiglio dei diritti umani alla sua cinquantaseiesima sessione (punto n. 6). Inoltre, con la risoluzione il Consiglio dei diritti umani decide di organizzare una interactive panel discussion durante la cinquantacinquesima sessione dei suoi lavori al fine di identificare cause ed effetti della dissacrazione di testi sacri e la profanazione dei luoghi di culto ed in generale dei simboli religiosi, in quanto forma di manifestazione di odio religioso ed incitamento alla violenza e alla discriminazione su base religiosa, nonché le lacune normative che impediscono la prevenzione e repressione di questi atti, proponendo misure di deterrenza contro episodi simili. L’Ufficio dell’Alto Commissario per i Diritti Umani è anche invitato a curare i rapporti con gli Stati, gli organi delle Nazioni Unite, le procedure speciali, la società civile e gli stakeholder affinché ci sia un’ampia partecipazione alla panel discussion e quest’ultima sia accessibile alle persone con disabilità (punto n. 5 della risoluzione).  Infine, il Consiglio dei diritti umani si impegna a continuare a prestare particolare attenzione a questa questione anche in futuro (punto n. 7 della risoluzione).    

Al fine di comprendere le posizioni dei vari Stati membri del Consiglio sul tema oggetto della risoluzione, è particolarmente interessante vedere quali sono gli Stati che hanno votato a favore, contro o che si sono astenuti. Infatti, la maggior parte degli Stati che hanno votato a favore sono africani o del Medio Oriente, mentre quelli contrari sono per buona parte occidentali. A questa divisione geografica corrisponde una visione diversa in merito a come contrastare ogni atto, anche verbale, di incitamento all’odio e alla violenza nei confronti di coloro che professano una determinata religione. Emblematici sono, da un lato, il commento generale dell’Ambasciatore degli Stati Uniti Michèle Taylor e, dall’altro, quello dell’Ambasciatore del Pakistan Bilawal Bhutto Zardari: il primo, infatti, pur ripudiando le espressioni d’odio di stampo religioso, ritiene che la libertà di espressione non possa e non debba essere “abridged to outlaw them”; il secondo, invece, oltre a condannare tali atti in quanto espressione di “an attack on their faith”, ha sottolineato la loro gravità ed offensività nei confronti di tutti i mussulmani e del loro testo sacro – il  quale rappresenta, a sua volta, il loro “sense of identity and dignity” –, nonché la necessità di prevenire e reprimere questi atti.   

La risoluzione A/HRC/RES/53/1 si pone sulla scia di precedenti risoluzioni (a partire dalla risoluzione n. 16/18 fino alla richiamata risoluzione n. A/HRC/RES/52/38) in cui il Consiglio dei diritti umani ha dovuto affrontare il problema del possibile conflitto tra due diritti fondamentali: nella fattispecie in esame, il diritto alla libertà di espressione e quello alla libertà religiosa, previsti rispettivamente dagli artt. 18, 19 e 20 del Patto internazionale sui diritti civili e politici. Tuttavia, mai come in questo caso la cultura e i valori più sentiti dei singoli Paesi membri del Consiglio hanno inciso sul bilanciamento tra queste due libertà.

Elisabetta De Carlo

Studentessa del Master Tutela internazionale di diritti umani “Maria Rita Saulle”

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