Digital welfare e diritti umani: digital by choice or digital only?

Report of the Special Rapporteur on extreme poverty and human rights

Approfondimento n. 38/2019                                                                                                                                                                                                                                                                 

Lo scorso 11 ottobre il Segretario generale delle Nazioni Unite ha trasmesso all’Assemblea generale il rapporto dello Special Rapporteur sulla povertà estrema e i diritti umani, Philip Alston, in materia di welfare digitale e diritti umani.
Il rapporto tematico è il frutto di una lunga interazione tra lo Special Rapporteur e i governi interessati, la società civile, gli studiosi della materia, le organizzazioni internazionali, gli attivisti e le industrie e nasce dalla consapevolezza dell’affermarsi del “digital welfare state” in molti paesi del mondo.

Nel riferire casi concreti in cui il welfare state ha considerevolmente subito l’impatto delle tecniche digitali, Alston si sofferma nello specifico sul caso keniota, nel quale il governo centrale ha subordinato il godimento dei benefici sociali al possesso di una carta elettronica, contenete informazioni di carattere biometrico, tra cui impronte digitali e sequenziamento del DNA. Dinnanzi alle crescenti critiche basate sulla violazione della privacy e del principio di non discriminazione, il governo ha proseguito la campagna di censimento, ma solo su base volontaria.

Passando, poi, in rassegna la situazione del Regno Unito, nel quale lo Special Rapporteur ha recentemente condotto una visita istituzionale, Alston ha evidenziato le rilevanti difficoltà di accesso ai welfare benefits da parte di larga parte degli aventi diritto. 

Le interazioni che, sino ad alcuni anni fa, avvenivano di persona, al telefono o tramite posta, sono infatti state digitalizzate. L’accesso allo Universal Credit system, ad esempio, è risultato considerevolmente più complesso per tutti quei soggetti che non dispongono di una rete Internet e che mancano di alfabetizzazione digitale minima (nel Regno Unito, il tasso ammonta al 22% della popolazione).

In occasione dell’apertura della 74a sessione dell’Assemblea generale, il Primo ministro inglese ha sottolineato la necessità di garantire che l’avanzamento tecnologico proceda parallelamente al godimento dei diritti umani sanciti a partire dalla Dichiarazione universale del 1948.  Proprio in merito a tale affermazione, lo Special Rapporteur ha sottolineato l’inerzia dei governi nella regolamentazione della tech industry, sotto il profilo dei diritti umani: tali industrie avrebbero, quindi assunto il carattere di “human rights-free zones”.

La trasformazione delle prestazioni sociali da “digital by choice” in “digital only” ha avuto il prevalente effetto di creare barriere “for individuals who have to pay high prices to obtain internet access, to travel long distances or absent themselves from work to do so, visit public facilities such as libraries in order to get access, or obtain assistance from staff or friends no navigate the system”. 

Sulla base di tali premesse, lo Special Rapporteur trae quattro preoccupanti conclusioni. Innanzitutto, Alston sottolinea che le tecnologie digitali impiegate nel welfare state conducono alla sorveglianza, vessazione e punizione dei beneficiari, soprattutto ai più poveri tra loro. 

In secondo luogo, la dipendenza del settore pubblico dai servizi digitali offerti da privati mette in serio pericolo la privacy dei beneficiari, i cui dati sensibili possono essere impiegati per scopi non direttamente connessi alla fruizione delle prestazioni sociali.
Inoltre, come alcuni documenti inviati allo Special Rapporteur mostrano, negli ultimi anni le truffe collegate al welfare system sono aumentate, in quanto facilitate dalla confusione dei beneficiari, dalla complessità dei sistemi informatici e dalla sostanziale impossibilità di correggere rapidamente eventuali errori commessi.

In ultimo, Alston suggerisce che le pratiche di censimento come quelle condotte in Kenya rappresentano un grave pericolo. Attraverso i dati ottenuti, infatti, i governi hanno la possibilità di intervenire sulle condotte sociali, sulle preferenze sessuali, sulla coabitazione, sull’uso di droghe e alcool e finanche sulla decisione di avere figli.

Nel sottolineare come la digitalizzazione delle prestazioni sociali sia stata spesso condotta senza alcun confronto con la società civile, lo Special Rapporteur sottolinea la limitata accountability dei soggetti privati fornitori di servizi digitali, spesso corrispondenti agli stessi gruppi industriali refrattari all’inclusione di una human rights policy nelle loro attività e nei loro codici di condotta.

A conclusione del suo rapporto, predicendo le critiche di assoluta parzialità della sua analisi, Alston suggerisce non solo una regolamentazione più puntuale dell’intelligenza artificiale che, nel breve periodo interverrà in molti ambiti della vita privata e sociale di ogni individuo, ma anche un ripensamento dell’impiego dei budget destinati al welfare nella direzione di ristrutturare le esistenti tecniche digitali per favorire un più semplice accesso delle categorie svantaggiate e per garantire loro un pieno godimento dei diritti sociali: “that would be the real digital welfare revolution”. 

Giovanni Ardito

Dottorando in Diritto pubblico, comparato e internazionale

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