Caso Asso 29: il tribunale di Roma condanna il governo italiano per violazione del divieto di respingimento
Approfondimento n. 1/2024
Con la sentenza della diciottesima sezione civile del tribunale ordinario di Roma, resa il 26 giugno 2024 (n.r.g. 4782/2021) sono stati condannati in primo grado la Presidenza del Consiglio dei ministri, i Ministeri della difesa e dei trasporti nonché il capitano della nave Asso 29 e l’armatore della stessa, la S.p.A. Augusta Offshore, per aver violato il divieto di respingimento sancito nell’art. 33 § 1 della Convenzione di Ginevra del 1951, a detrimento di cinque cittadini eritrei.
I cinque cittadini eritrei (di seguito attori) hanno riferito di essere partiti dalla Libia a bordo di un gommone il 30 giugno 2018, insieme ad altre 150 persone circa e che, giunti fuori delle acque territoriali della Libia, sono rimasti in balia del mare all’interno della zona SAR libica, a causa di un’avaria al motore. A questo punto sono stati soccorsi dalla motovedetta libica Zwara, in attuazione di un’operazione di salvataggio attivata dalla nave della Marina Militare Italiana Duilio che, dopo averli avvistati, ha segnalato l’evento SAR alle autorità libiche. Giunta sul posto la guardia costiera libica ha provveduto al trasbordo dei naufraghi, ma poco dopo anche la Zwara è rimasta in avaria a causa del carico eccessivo. Per questo motivo, sempre su richiesta della Marina Militare Italiana con base a Tripoli, la motovedetta libica è stata a sua volta soccorsa dalla nave Asso Ventinove, un mercantile battente bandiera italiana armato dalla società Augusta Offshore. La Asso Ventinove ha effettuato l’operazione di recupero dei passeggeri che si trovavano a bordo della Zwara e di traino della stessa verso Tripoli. Giunta in Libia la mattina del 2 luglio 2018, la Asso Ventinove non ha attraccato al porto di Tripoli, ma si è fermata al largo, trasbordando di nuovo i migranti in varie imbarcazioni di minori dimensioni sotto il controllo delle autorità libiche.
Per effetto di questa operazione, gli attori, nel corso del procedimento, hanno sostenuto di essere stati vittime di un respingimento collettivo verso un paese dove i diritti umani fondamentali non sono garantiti. Hanno affermato infatti di essere stati trattenuti in maniera illegittima e di aver subito trattamenti inumani e degradanti. Inoltre, solo di recente “sono riusciti ad arrivare in un porto sicuro, nonostante il loro destino, grazie all’intervento dei convenuti, poteva essere quello di molti dei loro compagni: la morte.” (pag. 52 – atto di citazione).
Secondo quanto esposto dagli attori l’operazione di respingimento collettivo è stata di fatto attivata e coordinata dal Ministero della Difesa. Dalla ricostruzione dei fatti emerge inequivocabilmente che la comunicazione alla guardia costiera libica prima, e quella alla nave Asso Ventinove poi, sono state inoltrate su iniziativa del pattugliatore Duilio e della Marina Militare italiana con base a Tripoli, entrambe sotto l’autorità del Ministero della Difesa. In via più generale, si afferma nell’atto di citazione, in questa come in molte operazioni SAR gli interventi vengono effettuati con il contributo strutturale ed essenziale del personale e dei mezzi italiani. Gli attori hanno inviato, in data 16 giugno 2020, formale atto di diffida e messa in mora alla società Augusta Offshore, domandando il risarcimento dei danni. In data 18 giugno 2020 hanno ricevuto una comunicazione con cui la società ha negato ogni forma di responsabilità. Il 31 luglio 2020 e 6 agosto 2020, i ricorrenti hanno invitato i convenuti ad aderire alla procedura di negoziazione assistita ricevendo risposta negativa unicamente dalla Augusta Offshore. Di conseguenza, hanno domandato al Tribunale l’accoglimento delle seguenti conclusioni:
1) che i convenuti hanno posto in essere una condotta lesiva dei diritti umani fondamentali degli attori, tra cui: il diritto a non subire trattamenti inumani e degradanti (art. 5 della Dichiarazione universale dei diritti umani); il diritto a proporre la domanda di asilo e a vederla esaminata (art. 14 della Dichiarazione universale dei diritti umani); il diritto a non essere collettivamente respinti o espulsi (art. 33 § 1 della Convenzione di Ginevra; art. 4 prot. 4 della Convenzione EDU); il diritto di accedere ad un Tribunale per far valere le proprie ragioni (art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali); il diritto ad avere assegnato un porto sicuro (art. 82 della Convenzione ONU sul diritto del mare) ed altri ancora;
2) che l’azione di respingimento collettivo che ha coinvolto anche gli attori, è foriera di responsabilità civile in capo ai convenuti per le ragioni esposte nell’atto di citazione, in solido tra loro od in ragione delle rispettive responsabilità;
3) condannare i convenuti in solido tra loro od in ragione delle rispettive responsabilità, al risarcimento del danno quantificato in € 30.000,00 per ciascun attore o in diversa somma ritenuta più giusta;
4) condannare i convenuti in via inibitoria a non reiterare per il futuro una condotta simile;
5) condannare i convenuti al pagamento delle spese di lite.
I convenuti si sono costituiti in giudizio rigettando in toto le accuse dei ricorrenti. In via preliminare, hanno eccepito il difetto di legittimazione attiva degli attori, sostenendo che questi non avrebbero dimostrato di essere effettivamente i protagonisti dei fatti narrati. Nel merito, hanno negato ogni responsabilità, avendo svolto attività di mero supporto, su indicazioni della Libia, paese titolare della zona SAR. A riprova della circostanza che l’intera operazione sarebbe stata gestita e organizzata dalla Libia, i convenuti hanno riferito che le istruzioni relative all’operazione SAR sono state impartite dalla Guardia Costiera libica e dagli ufficiali libici presenti sulla motovedetta Zwara, uno dei quali avrebbe proseguito nella propria attività di direzione e controllo una volta salito sulla Asso Ventinove. La Guardia Costiera libica si sarebbe servita della nave Duilio per impartire le istruzioni al comandante della Asso Ventinove. In nessun momento la nave della Marina Militare Italiana avrebbe quindi assunto il coordinamento o la direzione delle operazioni di salvataggio, ma si sarebbe limitata, più semplicemente, a trasmettere le comunicazioni intercorse tra la Guardia Costiera libica e la Asso Ventinove e a supervisionare le operazioni di sbarco dei migranti dalla nave libica a quella italiana. Secondo i convenuti, pertanto, non sarebbe possibile imputare loro alcuna violazione del principio di non respingimento, dal momento che gli attori sarebbero rimasti soggetti alla giurisdizione libica durante tutto il corso dell’operazione di salvataggio, anche dopo l’imbarco dei migranti sulla nave italiana.
Il comandante e la società armatrice del mercantile Asso Ventinove hanno inoltre precisato che la scelta di sottostare agli ordini impartiti dall’ufficiale libico era stata sostanzialmente obbligata per via della situazione di fatto: la rotta verso Lampedusa con oltre 300 persone a bordo e la motovedetta libica al traino avrebbe comportato oltre 24h di viaggio (sprovvisti di viveri e acqua sufficienti per tutti) contro le 7h impiegate per raggiungere Tripoli.
La Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero dell’Interno nonché il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti hanno inoltre eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, sul rilievo che “il diritto preteso dalle parti attrici non è in alcun modo riferibile, già sul piano astratto, alle Amministrazioni convenute” (pag. 12 – comparsa delle amministrazioni convenute). I convenuti nell’opporsi all’accoglimento delle richieste istruttorie formulate dagli attori, hanno anche eccepito il difetto di capacità a testimoniare (art. 246 del c.p.c.) “stante l’identità dei fatti posti alla base della domanda formulata dalle parti attrici e dell’evidenza di un interesse diretto concreto ed attuale corrispondente a quello delineato in giudizio.”
Il Tribunale ha rigettato le eccezioni preliminari dei convenuti sulla base della sentenza della Corte costituzionale n. 248 del 23.07.1974 e della più recente sentenza della Corte di cassazione n. 1279 del 2019.
Nel merito, il giudice ha ritenuto che le prove fornite dagli attori nella fase istruttoria siano ampiamente sufficienti a dimostrare la presenza degli attori sulla nave e dunque la loro legittimazione attiva. Tale conclusione poggia sia su quanto emerso dall’esame della documentazione fotografica depositata – ovvero le foto prodotte dall’UNHCR durante l’operazione SAR e ottenute solo dopo diverse istanze di accesso agli atti – sia dalle dichiarazioni testimoniali rese nell’udienza del 17.10.2022 che il giudice ha ritenuto senz’altro attinenti e veritiere.
Il Tribunale ha rigettato anche l’accoglimento della tesi secondo cui i convenuti avrebbero ritenuto sussistente la giurisdizione libica nel lasso temporale successivo al trasferimento dei migranti sulla Asso Ventinove a causa della presenza dell’ufficiale libico sulla nave italiana. Ciò in virtù del principio secondo il quale le navi sono soggette alle leggi dello Stato di bandiera anche quando si trovano in alto mare in zona SAR (si vedano al riguardo: la Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (UNCLOS) del 1982, Parte VII Alto mare Sezione 1: Disposizioni generali: artt. 86, 92, 98; Convenzione Internazionale per il salvataggio delle vite in mare (SOLAS) del 1° novembre 1974, Cap. V – Reg. 10 e Reg. 15; la Convenzione SAR Convenzione di Amburgo (International Convention on Maritime Search and Rescue) del 27 aprile 1979, Art. 2.1, 2.1.1, 2.1.9, 2.1.10; le “Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare” adottate dal Comitato per la Sicurezza Marittima dell’IMO nel 2004; la Convenzione Salvage (International Convention on Salvage) di Londra del 28 aprile 1989, Art. 10. Onde meglio illustrare la portata dei suddetti enunciati e l’ambito applicativo degli stessi, il Tribunale ritiene opportuno fare riferimento anche alle interpretazioni adottate a livello nazionale e internazionale e alle opzioni ermeneutiche privilegiate dalle Corti sovranazionali (la sentenza Hirsi Jamaa e altri c. Italia, Grande Camera Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, 23 febbraio 2012; l’opinione A.S., D.I., O.I. e G.D. c. Italia del Comitato ONU dei Diritti Umani, 27 gennaio 2021).
Su queste basi normative e giurisprudenziali, nonché sull’evidenza che la stessa necessità dei libici di avvalersi di un salvataggio operato da una nave italiana comporti di per sé la soggezione dell’operazione alle autorità italiane, il Tribunale ha ritenuto responsabili il comandante della Asso Ventinove, l’armatore della stessa, nonché l’intera catena di comando fino alla Presidenza del Consiglio dei ministri, eccezion fatta per il Ministero dell’Interno per la responsabilità del quale sono state necessarie altre considerazioni.
Ritenuta sussistente la legittimazione degli attori e affermata la giurisdizione italiana sull’operazione, il Tribunale ha rigettato anche la tesi difensiva secondo la quale la scelta del porto di Tripoli come destinazione di sbarco sarebbe stata inevitabile conseguenza della situazione o comunque il male minore, in virtù di una differenza di tempi di navigazione, tra Tripoli e Lampedusa, di meno di un giorno. A questo proposito il Tribunale si è avvalso dell’autorevolezza del report della Indepentent Fact-finding Mission on Libya del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, il quale riferisce che: “La Missione ha ragionevoli motivi per credere che in Libia vengano commessi crimini contro l’umanità contro i migranti. I migranti sono sottoposti a una diffusa e sistematica detenzione arbitraria. Atti di omicidio, sparizione forzata, tortura, riduzione in schiavitù, violenza sessuale, stupro e altri atti disumani vengono commessi in relazione alla loro detenzione arbitraria. Il carattere continuo, sistematico e diffuso di queste pratiche da parte del DCIM (Direzione per la Lotta alla Migrazione Illegale) e di altri attori coinvolti riflette il fatto che funzionari di livello medio e alto partecipano al ciclo migratorio della violenza”. Il Tribunale ha ricordato inoltre come la Libia non sia parte della Convenzione di Ginevra sullo Status di Rifugiato e nel suo ordinamento non distingua tra migranti irregolari e rifugiati o richiedenti asilo, con la conseguenza che tutti gli stranieri sono considerati “illegali” e soggetti a pesanti sanzioni, prima tra tutte la detenzione con lavoro forzato, forme di riduzione in schiavitù e sistematici trattamenti inumani e degradanti (UN HRC, Report of the Independent Fact-Finding Mission on Libya, 13 giugno – 8 luglio 2022, A/HRC/50/63). Di conseguenza il Tribunale ha rigettato anche la tesi sostenuta dall’armatore relativa ad una minore pericolosità dell’ambiente libico rispetto alle pur maggiori ore di navigazione necessarie al raggiungimento di un porto sicuro. Pertanto, il giudice ha condannato il capitano e l’armatore della Asso Ventinove, nonché il Ministero della Difesa, il Ministero dei Trasporti e la Presidenza del Consiglio dei ministri a liquidare il danno non patrimoniale ai ricorrenti (compreso il bambino nato circa venti giorni dopo i fatti in questione) con la somma di 15.000 euro ciascuno e ha accertato il diritto degli attori ad accedere nel territorio italiano allo scopo di presentare domanda di riconoscimento della protezione internazionale. Ha assolto invece il Ministero dell’Interno perché non ha condiviso l’affermazione dei ricorrenti secondo cui tale Ministero sia competente in via generale, alla gestione dei flussi migratori.
Questa sentenza si inserisce in una prassi giurisprudenziale ben consolidata che, fin dalla ratifica del Trattato di amicizia con la Libia nel 2008, ha più volte accertato quanto le condotte poste in essere dalle istituzioni italiane nella gestione dei flussi migratori nel mediterraneo centrale siano foriere di gravi violazioni dei diritti umani fondamentali. L’entità del fenomeno, sia in termini qualitativi sia in termini quantitativi, è infatti ampiamente documentata dalla giurisprudenza che in questi anni non ha fatto che confermare la manifesta illiceità di questa gestione dei flussi migratori. A questo riguardo vale la pena menzionare il caso Orionecon la condanna della Presidenza del Consiglio dei ministri e del Ministero della Difesa (sentenza n.22917/2019 del 14 novembre 2019) per violazione, già nel 2009, del principio di non refoulement e del diritto al riconoscimento della protezione internazionale. La prassi dei respingimenti, consolidata in questi anni dalle autorità italiane, è stata dichiarata illegittima anche dalla Corte EDU che, con la sentenza 27765/2009 Caso Hirsi e altri c. Italia, ha condannato l’Italia per la violazione degli artt. 3 e 4 del Protocollo 4 e dell’art. 13 della Convenzione EDU. Conseguenza diretta di questi respingimenti operati nel mediterraneo centrale è il rinvio di persone fragili e titolari del diritto alla protezione internazionale verso un luogo non sicuro, certificato tale da diversi rapporti al Consiglio dei Diritti Umani della missione Onu in Libia, oltre che da numerose inchieste delle maggiori Organizzazioni Non Governative (a titolo di esempio si vedano i report di Human Rights Watch o di Amnesty International). Queste violazioni gravi e sistematiche dei diritti umani fondamentali nei confronti di richiedenti asilo provenienti dalla Libia imporrebbero pertanto una seria riflessione sugli accordi internazionali che l’Italia ha posto in essere con lo Stato libico. Anziché elevare a modello questa politica di “esternalizzazione” della gestione dei flussi migratori, come si sta facendo con altri paesi, dalla Tunisia all’Albania, sarebbe auspicabile una sospensione del Memorandum tuttora in vigore nelle cui premesse si afferma “la comune determinazione a collaborare nel rispetto dei trattati e delle norme internazionali e consuetudinarie di diritto umanitario e di diritti umani inclusi i principi e gli scopi della Convenzione di Ginevra del 1951 sullo statuto dei rifugiati”.
Alessandro Talese
Studente del Master in Tutela Internazionale dei diritti umani “Maria Rita Saulle”
Materiali e link utili
Tribunale ordinario di Roma, n.r.g. 4782/2021, https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2024/06/sentenza_asso29.pdf
Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 23 febbraio 2012 – Ricorso n. 27765/09 – Hirsi Jamaa e altri c. Italia –https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_20_1.wp?facetNode_1=0_8_1_60&previsiousPage=mg_1_20&contentId=SDU743291#
Independent Fact-Finding Mission on Libya –https://www.ohchr.org/en/hr-bodies/hrc/libya/index
Tribunale di Roma, Prima sezione civile, Sentenza n. 22917/2019, RG n. 5615/2016https://sciabacaoruka.asgi.it/wp-content/uploads/2020/01/sentenza-22917.pdf
UNHCR Position on the Designations of Libya as a Safe Third Country and as a Place of Safety for the Purpose of Disembarkation Following Rescue at Sea https://www.refworld.org/policy/countrypos/unhcr/2020/en/123326?prevDestination=search;
Amnesty International, Rapporto 2023-24, Medio Oriente e Africa, https://www.amnesty.it/rapporti-annuali/rapporto-2023-2024/medio-oriente-e-africa-del-nord/libia/
Human Rights Watch, Libya Events 2022, https://www.hrw.org/world-report/2023/country-chapters/libya
Amnesty International, Rapporto 2023-24, Medio Oriente e Africa, https://www.amnesty.it/rapporti-annuali/rapporto-2023-2024/medio-oriente-e-africa-del-nord/libia/
Human Rights Watch, Libya Events 2022, https://www.hrw.org/world-report/2023/country-chapters/libya