Recenti sviluppi sull’ambigua posizione degli Stati Uniti in materia di tutela dei diritti umani ai tempi dell’amministrazione Trump

Approfondimento n. 25/2020                                                                                                                                                                                                                                                   

Mentre negli USA è scoppiato il caos a seguito dell’ennesimo episodio di violenza da parte della polizia,   stavolta ai danni di George Floyd, cittadino statunitense afroamericano la cui drammatica morte è stata filmata e pubblicata su numerosi social media scatenando la rabbia e la frustrazione dell’opinione pubblica,  il Presidente americano Donald Trump si è barricato nel suo bunker  e ha rilasciato l’ennesimo controverso tweet nel quale ha dichiarato di voler fare uso della Guardia Nazionale per tenere sotto controllo le proteste: “when the looting starts, the shooting starts”. Il tweet è stato poi oscurato da Twitter stessa per violazione della propria policy in materia di istigazione alla violenza.

Non è la prima volta che il Presidente degli Stati Uniti usa un linguaggio controverso e poco ortodosso: in tutto il suo mandato Trump è sempre stato al centro delle polemiche a causa dei suoi messaggi provocatori e poco ponderati, della sua avversione intellettuale verso fatti scientificamente accertati come il cambiamento climatico, e della sua propensione a condividere acclarate fake news. Per citare un esempio, nel 2018, Trump ha ripetutamente denigrato popolazioni del Sud del mondo, definendo Haiti e gli Stati africani come paesi “shithole”, durante un’invettiva di fronte ad alcuni senatori americani.

Questo è solo uno degli innumerevoli ambigui episodi durante i 4 anni di mandato dell’attuale amministrazione statunitense, con i quali il Presidente Trump dimostra una totale mancanza di rispetto per i diritti umani, spesso menzionati a proprio vantaggio solo come pretesto per poter puntare il dito contro altri Stati: ad esempio, qualche giorno fa Trump ha annunciato future sanzioni nei confronti della Cina e dei suoi funzionari, responsabili per le recenti violazioni dell’autonomia di Hong Kong, ex colonia britannica.

La regressione degli Stati Uniti in tema di cooperazione internazionale e  tutela dei diritti umani iniziò già nel 2017, quando l’amministrazione Trump decise di interrompere i finanziamenti per l’UNFPA – il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione -, di abbandonare i negoziati per il patto ONU sulle migrazioni e di uscire dagli accordi di Parigi per la lotta ai cambiamenti climatici. Nel 2018 la situazione si è aggravata: gli USA si sono ritirati dall’UNESCO, dall’Alto Commissariato ONU per i Diritti Umani e dall’accordo sul nucleare con l’Iran. Hanno, inoltre, tagliato i fondi per l’agenzia ONU destinata ai rifugiati palestinesi. Nel 2019, l’amministrazione Trump ha sospeso i suoi finanziamenti all’ICAO e, recentemente, Trump ha affermato la prossima fine delle relazioni tra gli Stati Uniti e l’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Non è solo l’allontanamento dalle organizzazioni internazionali a preoccupare la comunità internazionale: la regressione americana nella tutela dei diritti umani è dimostrata anche dall’adozione di politiche particolarmente aggressive e discriminatorie  durante tutto il mandato dell’attuale amministrazione:

  • Implementazione di politiche discriminatorie

Particolarmente controverse appaiono le politiche proposte dal Dipartimento della Casa e dello Sviluppo Urbano e dal Dipartimento dell’Istruzione che hanno reso più arduo, per le famiglie di colore, combattere la discriminazione nell’assegnazione delle case popolari e nelle scuole americane. Inoltre, i tagli operati all’Agenzia di Protezione Ambientale degli Stati Uniti, secondo recenti studi, danneggeranno le comunità ispaniche e afroamericane situate in aree esposte a forte inquinamento. Nel frattempo, il cosiddetto “travel ban” (i “divieti di viaggio” imposti da una serie di ordinanze esecutive dell’amministrazione federale)  colpisce principalmente persone provenienti da paesi a maggioranza musulmana, i cui abitanti sono in gran parte di colore.

  • Chiusura dei confini a rifugiati e immigrati

Discostandosi dalle linee delle precedenti amministrazioni, le politiche sui rifugiati e l’immigrazione sotto l’amministrazione Trump hanno impedito a determinate categorie di persone (principalmente individui a basso reddito, non cristiani e di colore) di entrare negli Stati Uniti. L’attuale amministrazione ha abbassato il limite per l’accoglienza dei rifugiati e richiedenti asilo a 18.000 individui, nonostante il fenomeno di dislocamento globale in atto sia senza precedenti; si ricordi soltanto che l’amministrazione Obama fissò il massimale a 110.000 nel 2017. Trump ha anche proposto di cambiare il sistema di immigrazione statunitense, favorendo benestanti e privilegiati e precludendo la via ai più vulnerabili, inclusi bambini, persone appartenenti alla comunità LGBTQ e persone con disabilità o bisognose di cure mediche. Spostando il focus sul bordo meridionale statunitense, poi, i richiedenti asilo lungo il confine messicano sono stati separati forzatamente dalle proprie famiglie e tenuti in condizioni che le Nazioni Unite hanno definito “spaventose” e potenzialmente in  violazione di norme internazionali. Gli stessi giudici americani hanno definito queste politiche di separazione familiare come illecite e in violazione delle stesse norme statunitensi in materia.

  • Limitazioni sulla tutela dei diritti delle comunità LGTBQ

Nonostante, nella sua campagna elettorale, Trump abbia promesso il proprio impegno a tutela della comunità LGBTQ, la sua amministrazione ha adottato regolamenti, ordini esecutivi e politiche che hanno ampiamento vanificato tutti i progressi fatti dall’amministrazione Obama per migliorare le condizioni della comunità LGBTQ. Ad esempio, ha sostenuto, in ben tre casi di fronte alla Corte Suprema americana, che la protezione dalla discriminazione basata sul sesso non si applica alle persone LGBTQ. I difensori dei diritti umani puntano anche il dito sul fatto che il Presidente Trump si è rifiutato di condannare la  campagna contro le persone gay in Cecenia e ha elogiato il Presidente brasiliano anti-LGBTQ, Jair Bolsonaro.

  • Limitazione dei diritti in ambito riproduttivo

L’accesso all’aborto è stato tutelato dalla Corte Suprema americana e dichiarato come diritto  fondamentale dalle Nazioni Unite e da 50 paesi nel mondo. L’amministrazione Trump ha però usato la sua influenza nell’ONU per fare pressione su alcuni stati per negare questi diritti all’estero mentre erodeva il diritto all’aborto all’interno degli stessi confini nazionali. Le proposte di bilancio federale e i regolamenti di Trump hanno preso di mira i programmi di salute riproduttiva che fornivano cruciale assistenza a donne e famiglie. Ha imposto una estremamente invasiva “Global Gag Rule”, che limita i fondi americani per le organizzazioni non governative che forniscono consulenze sull’aborto. Gli effetti di queste “regole del bavaglio” vanno ben oltre il semplice limitare i diritti in ambito riproduttivo: i dati dimostrano come la “Global Gag Rule” danneggi indirettamente la salute materna, neonatale e dell’infanzia, a livello mondiale, e influenzi negativamente i finanziamenti globali per altre malattie infettive come AIDS, tubercolosi e malaria. Negli Stati Uniti, la “Domestic Gag Rule”, la versione nazionale di tale politica, taglia fuori milioni di persone (in particolare, donne con reddito pro-capite basso) da servizi sanitari cruciali come esami diagnostici e cure contraccettive.

In aggiunta al taglio dei fondi, il Dipartimento di Stato degli USA ha inoltre smesso di riferire sui diritti in ambito riproduttivo nell’annuale rapporto sui diritti umani, mandando così un chiaro segnale di disinteresse a livello istituzionale.

  • Distorsione del concetto di libertà religiosa

L’amministrazione Trump ha spesso usato la libertà religiosa come giustificazione per limitare i diritti della popolazione americana in patria e dei beneficiari degli aiuti al di fuori dei propri confini. La Commission on Unalienable Rights, voluta dall’amministrazione Trump nel 2019, è composta principalmente da studiosi di vedute anti-LGBTQ. Gli scopi definiti della commissione sembrano essere quelli di esaminare e recensire cosa, di preciso, gli Stati Uniti considerino come “diritti umani” e ridefinire il loro ruolo nella politica estera americana. Tuttavia, data la composizione della commissione e i risultati delle sue prime due sedute, essa piuttosto potrebbe risultare in un tentativo di limitare i diritti inalienabili attraverso una stretta interpretazione del concetto di “fondate concezioni” dei diritti umani: suggerendo che alcuni diritti sono “inalienabili” e altri vengono definiti “ad hoc”, esiste la concreta possibilità che la commissione dia il via libera all’amministrazione Trump affinché vengano ignorati molti gruppi e minoranze vulnerabili col pretesto di proteggere la libertà religiosa. Inoltre, come si evince da un recente rapporto dell’F.B.I., i crimini d’odio negli USA durante la Presidenza Trump hanno raggiunto il livello più alto negli ultimi sedici anni.

In conclusione, l’amministrazione Trump rischia di essere tristemente ricordata per avere avviato un processo di regressione nella tutela nei diritti umani durante i suoi quattro anni di mandato e ciò si evince non solo dal suo progressivo distacco dalle organizzazioni internazionali e dal mondo della  cooperazione internazionale, ma anche dall’adozione delle leggi e delle politiche oggetto di critica nelle righe che precedono. In questo senso, è difficile dare credibilità agli USA quando essi criticano gli abusi dei diritti umani da parte delle altre nazioni, se le loro stesse politiche perpetrano numerosi abusi in patria e all’estero. Il governo statunitense non soltanto ha varato leggi e politiche che hanno colpito le comunità più vulnerabili, ma si è anche proposto, almeno fino al 2013 con lo scoppio delle “primavere arabe”,    quale “sceriffo” della Comunità Internazionale ed “esportatore di democrazia”. Siamo davanti ad un incredibile rollback da parte di una nazione che ama descriversi come patria dei diritti umani fondamentali e della tutela delle minoranze che costituiscono il melting pot  dal quale origina la propria società.

L’attuale Presidente rappresenta per definizione tale ambiguità: da un lato minaccia di sanzioni contro determinati Stati che non tutelano i diritti umani,  dall’altro soffia sul fuoco alla base delle proteste adesso in atto lanciandosi in controversi e provocatori tweet che sembrano fare sfregio alla necessaria apertura al dialogo politico e ai diritti umani, per di più in un momento di grave difficoltà, stress ed ansia sociale.

Riccardo Giannini

Studente del Master in Tutela internazionale dei diritti umani “Maria Rita Saulle”

Link Utili:

https://www.nbcnews.com/politics/white-house/trump-referred-haiti-africa…

https://www.nytimes.com/2018/06/26/us/politics/supreme-court-trump-trave…

https://www.afsc.org/blogs/news-and-commentary/trumps-attacks-legal-immigration-system-explained

https://www.latimes.com/local/lanow/la-me-family-separations-ruling-trump-20190308-story.html

https://reproductiverights.org/worldabortionlaws

https://www.reuters.com/article/united-nations-lgbt-usa/rights-advocates-call-trumps-pledge-to-decriminalize-gay-sex-a-lie-idUSL5N26G5ZK

https://www.americanprogress.org/issues/women/news/2018/03/07/447558/international-womens-day-resist-trumps-global-gag-rule/

https://www.wsj.com/articles/unalienable-rights-and-u-s-foreign-policy-11562526448

https://www.nytimes.com/2019/11/12/us/hate-crimes-fbi-report.html