Una rilettura del diritto alla vita nell’Osservazione generale numero 36 (2018) del Comitato dei diritti umani

General Comment No. 36 (2018) on article 6 of the International Covenant on Civil and Political Rights, on the right to life

Approfondimento 6/2019                                                                                                                                                                                                                                                                                       

Lo scorso 30 Ottobre il Comitato dei diritti umani ha adottato l’Osservazione generale numero 36 relativa all’articolo 6 del Patto internazionale sui diritti civili e politici. La pratica delle Osservazioni generali, ampiamente consolidata nel sistema di tutela dei diritti umani dell’ONU, ha lo scopo di favorire la corretta interpretazione del Patto e di suggerire possibili soluzioni alle complessità che gli Stati sono spesso chiamati ad affrontare nel garantire l’effettiva tutela dei diritti ivi riconosciuti. L’Osservazione numero 36, che riguarda il diritto alla vita, è solo l’ultima delle tre che si sono succedute nel tempo sull’articolo. Tanto il General Comment numero 6 quanto il 14, entrambi adottati negli anni Ottanta, si caratterizzano per una sostanziale brevità e per un contenuto che si limita ad una riformulazione del testo dell’articolo in commento. Al contrario, la recente Osservazione appare più strutturata e certamente più in linea con le insidie che la tutela del diritto alla vita incontra nel mondo contemporaneo. Esso si divide in quattro parti: il divieto della privazione arbitraria della vita, l’obbligo di garantire il diritto alla vita, l’eliminazione della pena di morte e il rapporto tra l’articolo 6 del Patto e le altre norme di diritto internazionale. L’Osservazione, dunque, affronta in maniera diffusa tre pilastri fondamentali: prevenzione, proibizione ed investigazione. 

Con riferimento alla prima area di analisi, il Comitato si sofferma in particolare sul concetto di arbitrarietà. Esso sottolinea come il termine non indichi esclusivamente contrarietà alla legge, ma deve essere interpretato in maniera tale da includere anche l’inappropriatezza, l’ingiustizia e la mancata prevedibilità dell’atto da cui derivi una violazione del diritto alla vita. Tenendo conto che il Patto trova applicazione anche al di là del territorio su cui ciascuno Stato eserciti la propria giurisdizione, estendendosi ad ogni atto compiuto da soggetti che lo rappresentino o che agiscano per suo conto, il Comitato ritiene necessario che ciascuna parte contraente vigili anche sulla condotta degli operatori privati cui abbia delegato l’uso della forza. Tale obbligo è assolto solo laddove lo Stato in questione abbia previsto opportune attività di training, monitoraggio e controllo. 

La necessità che gli Stati assumano condotte positive emerge con ancora più forza nella seconda parte del documento, quando il Comitato richiama i rischi connessi alla privazione della vita per mano di gruppi criminali organizzati e milizie armate a carattere terroristico. Qualora le appropriate misure preventive dovessero rivelarsi fallimentari è compito dello Stato in questione garantire le dovute investigazioni e, sempre nel rispetto del diritto alla vita, perseguire il crimine commesso. In tal senso, l’estradizione di un soggetto verso un paese terzo, noto per applicare la pena di morte, si  configurerebbe chiaramente come violazione dell’obbligo di tutelare il diritto alla vita.

Ampia discussione è riservata, poi, proprio alla questione della pena di morte. A ben vedere, l’Osservazione richiama più volte il Secondo protocollo opzionale, che nello specifico si occupa della sua messa al bando. Poiché in taluni paesi la pena capitale è ancora applicata per i most serious crimes, il Comitato ne chiarisce le caratteristiche. Particolarmente interessante è poi l’ultima sezione, dedicata al legame tra l’articolo 6 e l’evoluzione tecnologica. Nella consapevolezza che con l’impiego di nuovi armamenti il diritto alla vita è sempre più minacciato, il Comitato si sofferma su molti di essi, mettendo in luce le aree di maggiore criticità. Degni di nota sono i casi delle armi letali autonome e semiautonome e le armi nucleari, tutte ritenute potenzialmente responsabili della privazione arbitraria e massiccia del diritto alla vita. Per tale ragione, conclude il Comitato, non solo la loro proliferazione andrebbe controllata, ma il loro impiego dovrebbe essere interamente vietato. Appare, infine, innovativa l’ampia disamina del legame tra il diritto alla vita e ambiente, da cui il Comitato risolve che la tutela dell’ambiente e la pronta gestione dei disastri ambientali sono rilevanti per un effettivo rispetto dell’articolo 6.

Giovanni Ardito

Dottorando di ricerca in diritto pubblico, comparato ed internazionale

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