La questione del rimpatrio dei rifugiati siriani da parte della Danimarca: si sta creando un precedente pericoloso?

Approfondimento n. 2/2021                                                                                                                                                           

La Danimarca è il primo Paese europeo ad aver avviato un processo sistematico di revoca del permesso di soggiorno ai cittadini siriani provenienti dalla zona del Governatorato del Rif di Damasco. Nel 2019, infatti, si è verificato quello che è stato definito un “cambio di paradigma” delle politiche di immigrazione ed integrazione che rende più difficile il ricongiungimento familiare e passa da un modello di integrazione ad un modello basato sul rimpatrio. Questo cambiamento ha portato la Rappresentanza per i Paesi Nordici e Baltici dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) ad inviare al governo danese, nel gennaio 2021, una lettera (“UNHCR recommendations to Denmark on strengthening refugee protection in Denmark, Europe and globally), in cui l’UNHCR raccomanda sia di continuare a seguire gli standard europei ed internazionali di protezione dei rifugiati garantendo, in particolar modo, uno status stabile e sicuro con permessi di soggiorno di una durata minima di 5 anni,  sia di rimuovere tutti gli ostacoli legali al ricongiungimento familiare. 

Le prime avvisaglie riguardanti delle modifiche alla politica migratoria danese si erano palesate già nel 2015, quando la durata dei permessi di soggiorno venne ridotta da 5-7 anni a 1-2 anni e venne introdotto l’articolo 19 (1), all’interno del Danish Aliens Act, che consentiva la revoca dello status di rifugiato nel caso di miglioramenti, anche minimi, nella situazione del paese di origine. Tale innovazione ha causato la perdita del permesso di soggiorno di 900 rifugiati somali, che risiedevano in Danimarca da diversi anni. L’UNHCR ha ribadito che i rifugiati necessitano di protezione per un periodo medio di 17 anni perché guerre, dittature e conflitti sono fenomeni che durano a lungo. Per cui una soluzione auspicabile sarebbe la piena integrazione nel paese ospitante, piuttosto del rimpatrio in uno stato in cui la situazione politica non è stabile né pacifica; infatti, ciò potrebbe comportare non solo la perdita della libertà, ma della stessa vita.

Ciò che ha spinto la Danimarca a ritirare i permessi ai siriani che vivono nel paese è stato un rapporto redatto nel settembre 2020 dall’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO) (“Country Guidance: Syria. Common analysis and guidance note)le cui conclusioni attestano che, secondo gli indicatori, il tasso di violenza nel Governatorato del Rif di Damasco è talmente basso da non mettere in reale pericolo i civili. Perciò, secondo l’EASO, sarebbe legittimo rimpatriare i cittadini siriani che provengono dalla capitale, tra cui rientrerebbero coloro che godono di asilo in Danimarca ai sensi dell’articolo 7 (3), introdotto nel 2015 nel Danish Aliens Act, soprattutto in favore dei rifugiati siriani, che garantisce un nuovo status di protezione temporanea.

Secondo quanto pubblicato dal sito Refugees.dk, che fa parte della ONG danese Refugees Welcome, dei circa 35.000 siriani residenti in Danimarca, 4.500 hanno ottenuto l’asilo in base al paragrafo sopra citato e circa 1.200 provengono dall’area di Damasco. Sono i permessi di soggiorno di questi ultimi ad essere attualmente al vaglio del governo. Inoltre, la maggior parte dei rifugiati che potrebbero perdere la protezione della Danimarca sono anziani, donne sole e minori non accompagnati, essendo queste le categorie che rientrano nei parametri citati nel paragrafo 7.3 della legge danese sugli stranieri. Gli enti che si occupano di diritti umani stanno invitando la Danimarca a riconsiderare la decisione presa, sostenendo che, sebbene non vi siano più conflitti armati nella zona di Damasco dal maggio 2018, quest’ultima non può essere ancora considerata sicura soprattutto per le continue violazioni dei diritti umani perpetrate dal regime di Bashar al-Assad. Si teme che, qualora la Danimarca proceda con il rimpatrio, queste persone possano incorrere nello stesso destino di molti siriani rimpatriati dal Libano qualche tempo fa, ossia sparire nel nulla. 

Malgrado le forti critiche sollevate da diverse ONG e organizzazioni internazionali, il governo danese ha confermato di voler dare seguito alla politica di rimpatrio dei cittadini siriani provenienti da Damasco. Questa politica porrebbe in atto una violazione dell’articolo 1, lett. c (5), della Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati, interpretato alla luce delle Conclusioni  n. 69 dell’ExCom dell’UNHCR del 1992 riguardo la cessazione dello status di rifugiato. Secondo il Comitato esecutivo di UNHCR, di cui la Danimarca è uno dei primi quindici Stati membri, gli Stati contraenti della Convenzione di Ginevra, prima di procedere alla cessazione della protezione internazionale, devono accertarsi che i cambiamenti nel paese di nazionalità o di origine dei rifugiati abbiano natura durevole e stabile, inclusa la situazione generale dei diritti umani, e devono facilitare il rimpatrio degli individui, in collaborazione con i paesi di origine, affinché si svolga in modo sicuro e dignitoso. Ciononostante, la Danimarca ha già negato l’estensione del permesso provvisorio di residenza a 189 rifugiati siriani, mentre per altre 500 persone sta rivalutando lo status, offrendo un incentivo economico di 20.000 euro a coloro che accetteranno il rimpatrio volontario. Questa proposta è stata sinora accettata da soli 137 rifugiati. I siriani a cui non viene rinnovato il permesso di soggiorno vengono mandati in centri di costrizione che, secondo le denunce di alcune ONG, sono delle vere e proprie prigioni, in quanto le persone ospitate al loro interno devono rispettare il coprifuoco, non hanno diritto ad un’istruzione, un lavoro o a frequentare corsi di lingua e sono prive di adeguate cure sanitarie. 

In conclusione, la politica di rimpatrio dei cittadini di Damasco potrebbe creare un precedente molto pericoloso perché, qualora il governo danese riuscisse nel suo intento, è facilmente ipotizzabile che diversi paesi europei potrebbero sentirsi giustificati nel perseguire la stessa politica di revoca dello status di protezione temporanea. Inoltre, la Danimarca non intrattiene relazioni diplomatiche con la Siria; infatti, per motivi di sicurezza, a Damasco non è presente l’ambasciata danese e il governo ha fatto sapere di non avere intenzione di negoziare un accordo sui rimpatri con il regime di Assad. Pertanto, come potrebbe essere organizzato un eventuale rimpatrio?

Laura Cariati

Studentessa del Master in “Tutela internazionale dei diritti umani Maria Rita Saulle”

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