Il contagio della disinformazione ai tempi della pandemia: alcune sfide correnti e future
Approfondimento n. 20/2020
Report of the Special Rapporteur on the promotion and protection of the right to freedom of opinion and expression
Approfondimento n.19/2020
Lo scorso 23 aprile, sulla scia delle grandi sfide ai fondamenti democratici delle nostre società dettate dalla diffusione della pandemia di COVID-19, lo Special Rapporteur per la promozione e protezione del diritto alla libertà di opinione ed espressione, David Kaye, ha pubblicato un rapporto sulla relazione tra le pandemie ed i diritti in questione.
Il rapporto si apre con un invito ad apprezzare e riconoscere i numerosi collegamenti che intercorrono tra la gestione sanitaria della pandemia attualmente in corso e il ruolo dell’informazione, sulla scorta delle linee guida già identificate dall’Organizzazione mondiale della Sanità, che ha riconosciuto nella comunicazione tra le autorità ed il pubblico ed il contenimento delle fake news due elementi cardine.
Dopo aver richiamato i riferimenti normativi più condivisi in materia di libertà di informazione (e il recente commento generale del Comitato sui diritti economici, sociale e culturali che ha enfatizzato l’importanza della promozione della libertà di accedere, riceve ed impartire la conoscenza scientifica ai sensi dell’articolo 15 del relativo Patto) il rapporto ha identificato le 5 principali sfide alla libertà di opinione ed espressione ai tempi della pandemia.
Innanzitutto, lo Special Rapporteur ha sottolineato come, in condizioni di normalità, le autorità siano chiamate a rendere pubbliche le informazioni in proprio possesso ben prima che una richiesta formale in tal senso venga avanzata dagli individui interessati. Ciò dovrebbe avvenire nel rispetto dei principi di maximum disclosure, obligation to publish, promotion of open government, limited scope of exceptions eprocess to facilitate access.
Con una certa preoccupazione, si rileva che alcuni governi, principalmente a causa di ristrettezze economiche, non siano in grado di fornire l’accesso alle informazioni richieste. Tali limitazioni dovrebbero tuttavia avere un carattere solo temporaneo e non incidere sulla diffusione di quelle notizie di rilievo per garantire la sicurezza, prevalentemente sanitaria, dei cittadini.
La seconda sfida identificata nel rapporto riguarda le limitazioni all’acceso ad internet. Nella consapevolezza che esso sia divenuto un elemento essenziale per il godimento della libertà di informazione, alcuni governi, particolarmente quelli indiano ed etiope già prima della pandemia, hanno limitato in maniera sostanziale l’accesso alla rete, con un grave pregiudizio alla disponibilità delle informazioni sanitarie, soprattutto per medici ed infermieri, il cui operato ne è spesso strettamente dipendente.
Rispetto alla protezione e alla promozione di media indipendenti, Kaye ha sottolineato che vi è già un cospicuo numero di rapporti riguardanti le intimidazioni dei giornalisti impegnati in attività di fact-finding relative al COVID-19 da parte dei servizi di polizia. A ciò si aggiungono gli attacchi politici nei confronti dei medesimi operatori dell’informazione che abbiano prefigurato le azioni richieste ai cittadini per il contenimento dell’epidemia, quando essa era ancora alle sue prime fasi. Due ulteriori aspetti riguardano il limitato accesso dei giornalisti stranieri nei paesi maggiormente colpiti dall’epidemia ed il mancato rilascio dei giornalisti detenuti, con le conseguenze che sono già state analizzate in questa stessa sezione di Approfondimenti (v. I diritti dei detenuti alla prova della pandemia di COVID-19: misure per le strutture penitenziarie).
In un momento di grande incertezza sulle misure necessarie a contenere e a debellare la pandemia, il rapporto pone l’accento sulla disinformazione relativa alle notizie di sanità pubblica. A tal proposito, si raccomanda che gli Stati scoraggino e, anzi, combattano la diffusione di fake news, particolarmente con riguardo alle origini del virus e alle cure che, al momento non disponibili, potrebbero essere sponsorizzate alle fasce di popolazione più deboli come una panacea. Comprensibilmente, in questo contesto risulta particolarmente importante la responsabilità dei motori di ricerca e dei social media che sono chiamati ad agire con la dovuta diligenza nel determinare l’impatto di quelle policy sui contenuti che possano avere serie conseguenze sui diritti alla salute e alla vita (già, per altro, chiarito in A/HRC/38/35).
Un’ulteriore sfida, che è sempre più prossima in molti paesi occidentali, riguarda i rischi connessi all’uso di applicazioni tecnologiche di tracciamento per identificare in tempi rapidi la diffusione del contagio. Secondo il rapporto, i principi che dovrebbero guidare tali meccanismi dovrebbero essere chiaramente contenuti in una legge, essere valutati da una autorità indipendente, offrire garanzie circa l’uso limitato dei dati raccolti e dimostrarne l’anonimità.
Il rapporto non termina, come di consueto, con l’indicazione di raccomandazioni a carattere specifico. Esso, invece, presenta un appello ai governi affinché garantiscano la dignità e il rispetto dei propri cittadini e affinché li accompagnino con generosità e comprensione nei diversi passaggi che saranno richiesti. Ciò, conclude il rapporto, implica l’instaurazione di un rapporto di onestà, la garanzia di accesso ai mezzi di comunicazione, la promozione dell’indipendenza dei media e la disponibilità di mezzi per il contrasto alle fake news.
Giovanni Ardito
Dottorando in diritto pubblico, comparato ed internazionale