Il caso Khan contro Francia: La mancata custodia di un minore straniero non accompagnato di 12 anni nella “giungla di Calais” viola l’art.3 della CEDU

Case of Khan v. France, Applications n. 12267/16, Judgment

Approfondimento 13/2019                                                                                                                                                                                                  

Il 28 febbraio 2019, la Corte europea dei diritti dell’uomo (quinta sezione) ha sancito all’unanimità la violazione dell’art.3 della CEDU sul divieto di trattamenti inumani e degradanti da parte della Francia. Nei fatti, il richiedente, Jamil Khan, di nazionalità afghana, nato nel 2004 e residente a Birmingham (Regno Unito), ha denunciato le mancanze delle autorità francesi in merito al loro obbligo di proteggere i minori stranieri non accompagnati che, come lui, si trovavano sul sito di Calais (nord della Francia). Si denuncia, in particolare, che l’ordine di collocamento temporaneo nelle strutture di assistenza per i minori non è stato eseguito.

La Corte evidenzia che il richiedente aveva 11 anni al momento dell’arrivo in Francia e 12 quando il campo a sud di Calais è stato smantellato. La Corte sottolinea che il minore ha vissuto per diversi mesi nella “giungla” di Calais, in un ambiente totalmente inadeguato alla sua condizione di bambino e in una precarietà inaccettabile per quanto riguarda la sua giovane età. Inoltre, la Corte osserva che nella sua ordinanza del 23 novembre 2015, il giudice del Consiglio di Stato ha ripreso il termine “baraccopoli” e ha concluso che il soddisfacimento delle necessità di base delle persone interessate rispetto alla loro igiene e alla fornitura di acqua potabile erano “manifestatamente  insufficienti”, rivelando “una carenza tale da esporli ad un trattamento inumano o degradante, in violazione quindi di una libertà fondamentale”. Dopo l’evacuazione della zona meridionale, molti occupanti si sono trasferiti nell’area settentrionale della brughiera di Calais, aggravando la promiscuità nella quale si sono trovati finora.

La Corte ha ritenuto che le condizioni estremamente gravi di questi campi improvvisati e l’inadempimento dell’ordinanza del giudice del 2 novembre 2015, di censire e di proteggere i minori di cui faceva parte il richiedente, costituiscono una violazione da parte dello Stato e che il livello di gravità stabilito dall’art.3 della Convenzione è pienamente raggiunto. E’ stato rilevato che, a causa della mancanza di iniziative da parte delle autorità francesi, il minore si è trovato in una condizione estremamente degradante. È emerso che le autorità competenti non avevano nemmeno identificato il richiedente come tale nonostante la prolungata permanenza nel campo, e che la sua giovane età avrebbe dovuto attrarre in maniera diretta la loro attenzione. Sembra quindi evidente che gli strumenti utilizzati per identificare i minori stranieri non accompagnati presenti nel campo erano insufficienti.

La Corte riconosce la complessità del compito affidato alle autorità nazionali di identificare i minori tra le persone presenti sul sito e di offrire loro adeguata custodia, malgrado non sempre gli stessi minori la richiedano. La Corte non manca anche di rilevare l’ambiguità del comportamento del richiedente che, malgrado abbia richiesto al giudice dei minori un collocamento temporaneo, non voleva comunque rimanere in Francia, ma intendeva recarsi nel Regno Unito. La Corte osserva inoltre che le autorità nazionali non sono rimaste totalmente inerti, dal momento che hanno adottato provvedimenti per eseguire l’ordinanza del giudice minorile del 22 febbraio 2016, per affidare il minore ai servizi sociali dell’infanzia.

Tuttavia, la stessa Corte non è convinta che le autorità abbiano fatto tutto quello che era ragionevolmente possibile aspettarsi da loro per soddisfare l’obbligo di custodia e protezione che grava sullo Stato in caso di un minore straniero non accompagnato in una situazione irregolare, ossia di un individuo appartenente alla categoria delle persone più vulnerabili della società.

Infine la Corte, in considerazione dell’art.41 della Convenzione ed il principio di “equa soddisfazione”, ha stabilito che la Francia versi a titolo di risarcimento l’importo di 15000€ al richiedente per danno morale.

Anne-Sophie Martin

Dottore di ricerca in Diritto internazionale

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