Uguaglianza di genere e commercio internazionale: il gender mainstreaming applicato alla politica commerciale dell’UE

Gender and Trade: Gender equality in EU trade agreements

Approfondimento n. 7/2019                                                                                                                                                                                                                                                                                   

La parità di genere, obiettivo No. 5 dei Sustainable Development, non è solo un diritto umano fondamentale, ma una condizione necessaria alla realizzazione di un benessere mondiale più ampio, equo e sostenibile.

L’Unione europea è una delle organizzazioni internazionali più impegnate nel perseguimento della parità di genere e, dal Trattato di Amsterdam del 1997 (art. 2 par. 2), conta tra i suoi obiettivi espliciti quello della realizzazione della parità tra uomini e donne.

Già dalla sua fondazione l’Unione ha affermato la necessità di una maggiore uguaglianza nella distribuzione dei ruoli e dei diritti tra i sessi, parte integrante del principio di non discriminazione, che costituisce il primo e più importante diritto del cittadino europeo. A partire dal Trattato di Roma fondante la CEE, coerentemente con la sua vocazione economicista, gli Stati membri si sono obbligati a rispettare il principio della parità di retribuzione tra lavoratori e lavoratrici per uno stesso lavoro, con l’obiettivo dell’abbattimento del gender pay gap. Successivamente, all’interno della CEE/UE l’attenzione sull’uguaglianza tra i sessi si è allargata al principio di parità di trattamento, che sanciva il concetto di uguaglianza formale, elemento necessario, ma non sufficiente, dell’eliminazione di ogni discriminazione.

È dagli anni Ottanta che ci si è concentrati maggiormente sull’uguaglianza sostanziale, prevedendo programmi di azioni per l’implementazione di misure ad hoc volte a incoraggiare l’uguaglianza di genere. Per realizzare questo traguardo l’Unione prevede la possibilità di istituire misure di discriminazione positiva che, in deroga al principio di non discriminazione, costituiscono un mezzo legittimo per compensare le disuguaglianze ancora esistenti nella distribuzione dei ruoli chiave nei Paesi membri.

Un ulteriore passo in avanti è stato compiuto negli anni Novanta, quando si è sviluppato il concetto di gender mainstreaming, che apre all’applicazione di una prospettiva di genere in ogni ambito di azione dell’Unione.

Tra questi, rientra certamente la politica commerciale comune, una delle competenze esclusive dell’Unione.

L’UE è la prima potenza commerciale del mondo: rappresenta il 16.5% delle importazioni ed esportazioni mondiali e stringe accordi internazionali di commercio e investimento con tutti i maggiori Paesi del mondo.

Da questa considerazione, unita alla constatazione che le politiche commerciali e di investimenti non sempre hanno effetti neutri dal punto di vista del genere, discende una responsabilità non indifferente dell’Unione nei confronti dell’affermazione della parità di genere a livello globale.

È stato dimostrato, infatti, che gli accordi di libero scambio di cui l’Unione è storicamente fautrice, anche al netto di una crescita economica a livello aggregato dei Paesi terzi, possono avere conseguenze negative sulla condizione delle donne a causa delle disuguaglianze strutturali preesistenti.

Il Parlamento europeo, il 13 marzo 2018, ha riconosciuto l’importanza di questa problematica con l’approvazione della Risoluzione Gender equality in EU agreements, presentata dalle eurodeputate Forenza e Björk.

Con questa risoluzione, il Parlamento ha richiesto alla Commissione europea di rafforzare l’uguaglianza di genere nella politica commerciale dell’Unione, sia a livello interno che esterno, ricordando che l’art. 8 TFUE stabilisce che “nelle sue azioni l’Unione mira ad eliminare le ineguaglianze, nonché a promuovere la parità, tra uomini e donne” e sottolineando che “per avere politiche commerciali internazionali eque e inclusive, occorre un quadro chiaro che contribuisca a rafforzare l’emancipazione delle donne e a migliorare le loro condizioni di vita e di lavoro, a rafforzare la parità tra i sessi”. Pertanto, secondo il Parlamento, è utile che nel capitolo in materia di commercio e sviluppo sostenibile (CSS) contenuto in tutti gli accordi commerciali conclusi dall’Unione, sia valorizzato l’impegno da parte degli Stati contraenti a disporre azioni volte alla realizzazione dell’uguaglianza di genere, così come è necessario che l’UE includa negli studi di impatto ex-ante e ex-post valutazioni in funzione del genere, basate su dati disaggregati, da tenere in considerazione durante l’intero processo, dalla fase di negoziazione a quella di attuazione. L’Unione, inoltre, dovrebbe farsi promotrice di tutti quegli accordi internazionali, in primis la CEDAW, che riguardano la tutela della donna, anche attraverso la politica commerciale comune.

Francesco Negozio

Borsista di ricerca in diritto internazionale

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